Estratto dal Saggio di Nicola Capone, Diritti, Stato e Territorio tra primo e secondo Novecento. I contributi di Santi Romano e Tomaso Perassi e la svolta costituzionale di Alberto Predieri, in «Politica del diritto, n. 1/2021, il Mulino, Bologna 2021.
Nell’esperienza degli Stati costituzionali del secondo Novecento il territorio non è più inteso come mero supporto alla vita dello Stato o semplicemente come un’espressione geografica dei confini amministrativi entro cui lo Stato esercita la sua sovranità, né tantomeno è più inteso come oggetto di dominio. Esso è posto come il luogo entro cui e attraverso cui è reso possibile esercitare le libertà democratiche, potendo avere garantiti sul territorio nazionale i diritti fondamentali insieme a quelli politici, civili e sociali.
Il territorio in quanto fattispecie di più diritti fondamentali è il fondamento stesso della Costituzione, che per questo diviene il contesto entro cui opera il territorio. È proprio questa proiezione dei diritti fondamentali sul concetto di territorio che fa di questo un Paesaggio, cioè, come scrive Predieri, «la forma del Paese nella sua interezza» (Predieri 1969: 16), nei sui elementi naturali, culturali e sociali.
Potremmo anche dire che il territorio è completamente trasfigurato dal paradigma costituzionale (Capone 2019, 2020), il quale ha assunto i diritti fondamentali come l’unico criterio di legittimazione di qualsivoglia ordinamento politico-giuridico e ha posto lo spazio come matrice e strumento per la loro concreta attualizzazione. I diritti si incarnano e si radicano: nozioni come quella di ambiente e paesaggio mutano radicalmente la relazione fra spazio e norma, fra territorio e Stato (Ferrajoli 2013; Fioravanti 2009; Rodotà 2012; Häberle 2005).
Un mutamento di paradigma giuridico, questo, ancora più urgente oggi alla luce dei danni irreversibili arrecati all’ambiente naturale dai paesi industrializzati. Danni ecologici che minano alla base il diritto ad una vita sana e dignitosa, segno tangibile dei conflitti di classe che hanno caratterizzato la società moderna dalle origini. Ma come ricorda Luigi Ferrajoli «sempre, dalle altre catastrofi, anche le più terribili – si pensi alla seconda guerra mondiale e all’orrore dell’olocausto – la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando contro il loro ripetersi nuovi patti costituzionali consistenti in nuovi mai più» (2019: 154). Il costituzionalismo contemporaneo all’indomani della seconda guerra mondiale – grazie al contributo delle grandi organizzazioni di massa che hanno permesso a larghe fasce di popolazione fino a quel momento escluse dalla vita politica del paese di prendere parte alla costruzione del nuovo ordine giuridico e politico – ha reagito sovraordinando alle funzioni legislative e di governo il patto costituzionale e i diritti fondamentali in esso contenuti. In forza del postulato del positivismo giuridico la politica, in tutte le sue articolazioni, continua a restare la fonte e il motore del diritto, ma la sua legittimità dipende dal rispetto e dall’attuazione delle finalità presenti in Costituzione, imperniate intorno al principio giuridico positivizzato del pieno sviluppo della persona umana, come singolo e come partecipe di un contesto ecologico e sociale.
La positivizzazione del diritto in questa nuova modernità giuridica appare articolata così in due momenti: «il momento costituente, che è il momento alto, straordinario e supremo della politica quale si manifesta nella stipulazione dei diritti fondamentali come limiti e vincoli a tutti i pubblici poteri, e il momento legislativo, che è il momento ordinario e corrente della politica, cioè della concreta attuazione e implementazione di tali diritti tramite l’introduzione e il rispetto delle relative garanzie. Le costituzioni disegnano infatti il progetto giuridico del futuro, cioè i principi che le leggi ordinarie devono garantire ed attuare» (Ivi: 148).
È a partire da questa consapevolezza che Alberto Predirei, per primo in Italia (Morbidelli 2019), dà un’interpretazione costituzionale del Paesaggio, ponendo le basi per ripensare completamente il rapporto fra Stato, territorio e diritti fondamentali. Gli scritti di riferimento sono il saggio sul Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio del 1969 e quello sul Paesaggio del 1981.
Per prima cosa egli cerca diliberare il campo da un equivoco semantico che ancora oggi rischia di disorientare chi studia questo tema. Il lemma Paesaggio utilizzato nell’art. 9 della Costituzione italiana non sta a significare né solamente le bellezze naturali né la sola natura e nemmeno coincide con la nozione di ambiente. Il Paesaggio indica piuttosto la forma del territorio nella sua integralità, come il prodotto della continua interazione tra le comunità umane in esso insediate e le forze della natura che in esso agiscono, come il clima, la conformazione geografica, la presenza di altre specie viventi (Capone 2019; Settis 2010; Sverini 2019). «Il paesaggio – egli scrive – è fatto fisico, oggettivo ma, al tempo stesso, un farsi, un processo creativo continuo, incapace di essere configurato come realtà o dato immobile; è il modo di essere del territorio nella sua percezione visibile. Il paesaggio, insomma, viene a coincidere con la forma e l’immagine dell’ambiente, come ambiente visibile, ma inscindibile dal non visibile, come un conseguente riferimento di senso o di valori a quel complesso di cose» (Predieri 1981).
I punti focali del Paesaggio così concepito sono il territorio, inteso come ambiente visibile, elemento manifesto del paesaggio, e la salute, considerata come ambiente invisibile, ossia la struttura latente che sta a fondamento delle relazioni profonde che intercorrono tra tutti i corpi viventi e l’ambiente circostante. Il Paesaggio è il punto di congiunzione tra il visibile e invisibile, tra ciò che appare e l’equilibrio immanente all’esperienza sensibile dell’essere manifesto. In questo senso esso è «paesaggio integrale» (Predieri 1969: 10), è «la forma del paese nella sua interezza» (Ivi: 16), è «linguaggio, comunicazione, messaggio» (Ivi: 12) che permette di decifrare il sistema di relazioni sociali, economiche e ambientali che plasmano un territorio.
In questa prospettiva ermeneutica l’art. 9 della Costituzione riconosce la dinamica complessa da cui è costituito il territorio della nazione.
Quest’atto di riconoscimento ha una duplice valenza: da una parte, accoglie il dato territoriale nella sua complessità senza compiere riduzioni di sorta, dall’altra parte, tutelando giuridicamente questa datità la ri-determina, in quanto la assume tra i principi fondamentali funzionali alla realizzazione dei fini costituzionali.
La norma costituzionale fa del paesaggio qualcosa che esso, prima di essere tutelato, non era. Lo spazio terrestre così rideterminato è funzionalizzato al pieno sviluppo della persona umana, che può svolgersi solo nel rispetto e nella salvaguardia dell’equilibrio ecologico dell’ambiente circostante. Il Paesaggio rientra in tal modo tra i limiti e le forme entro cui è possibile esercitare costituzionalmente la sovranità. Il che significa che le decisioni democraticamente prese non possono essere adottate compromettendo uno degli elementi portanti per una pacifica convivenza civile. Difatti, un paesaggio caratterizzato da un ambiente insalubre e inquinato; o disorganizzato dal punto di vista della presenza di servizi pubblici essenziali; o privo di una corretta pianificazione urbanistica può determinare una tale compressione delle libertà personali, della possibilità di esercitare i propri diritti e sviluppare la propria persona pienamente e liberamente che non solo la vita psichica e biologica dei singoli soggetti potrebbe essere seriamente pregiudicata, ma la stessa tenuta democratica di un paese potrebbe essere messa gravemente in discussione.
Per queste ragioni secondo Predieri la tutela del paesaggio non può che consistere «nel controllo e nella direzione degli interventi della comunità sul territorio» (Ivi: 19). In caso contrario resterebbe una norma tanto indeterminata quanto inutile. Non si tratta di tutelare porzioni di paesaggio, ma il territorio nel suo complesso, ovvero, il paesaggio nella sua integralità. La tutela così intesa – egli scrive – «avrà lo scopo di assicurare una ordinata mutazione dell’ambiente modellato nei secoli, perché non venga distrutto, anche se non può essere sottratto – nella sua interezza – ai mutamenti che l’opera dell’uomo necessariamente vi apporta. Deve essere perciò razionalmente curato e sviluppato per consentirne la trasmissione alle future generazioni, per usarlo nel quadro dei fini costituzionali posti dalla Costituzione, per cercare di migliorare il rapporto fra uomo e ambiente, per migliorare in tal modo la convivenza della comunità umana insediata nel territorio» (Ivi: 19-20).
Il significato e il senso della tutela così intesa si chiarisce e determina se si combina e si integra con altre norme costituzionali. In particolar modo Predieri richiama quella che lui definisce la «supernorma costituzionale» (Predieri 1969; 1981), ovvero, l’articolo 3, 2° comma, che assegna alla Repubblica – cioè allo Stato-apparato e allo Stato-comunità – il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale». Ora, se il Paesaggio è inteso come la matrice e allo stesso tempo il risultato delle complesse reti di relazioni ecologiche, economiche e sociali è abbastanza chiaro che la sua tutela, intesa come «ordinata mutazione dell’ambiente», è una forma concretissima di rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale». Questo fa si che la norma di tutela del paesaggio è anche immediatamente e strutturalmente legata agli altri due principi contenuti nel 2° comma dell’articolo 3 ossia «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; due principi, questi, che se ostacolati risultano impediti, ossia negati.
Siamo nel cuore del disegno Costituzionale: creare le condizioni materiali e culturali per la piena realizzazione della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti e di tutte all’organizzazione di questo modello di società. La radicalità dell’impianto costituzionale la si evince collegando la tutela del paesaggio con la prevista tutela della salute, intesa dall’articolo 32 «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» e che Predieri – come abbiamo già visto -considera l’ambiente invisibile, la struttura immanente all’ambiente visibile, ossia al territorio nelle sue sensibili manifestazioni.
Basterebbero queste due combinazioni a rendere chiara l’operatività del Paesaggio. Predieri però richiama altre connessioni, altri rimandi interni al dettato costituzionale, per rendere ancora più efficace e determinata l’azione che potrebbe svolgere la tutela del paesaggio nella cura del territorio, considerato nei suoi aspetti visibili e invisibili.
Egli chiama in causa la nozione di proprietà che, com’è stato messo in evidenza, è da lui considerata così come è intesa nel testo costituzionale, ossia non «come istituto carico di una onusta tradizione storica», ma piuttosto «nei suoi aspetti correlati all’ambiente fisico nel quale si svolge la vita umana, individuale e associata» (Alpa 2019).
Come risulta dalle considerazioni svolte finora è abbastanza chiaro che la tutela del paesaggio non è riservata a porzioni del territorio di particolare bellezza ma è da considerarsi come una forma di «governo del territorio» (Predieri 1981). Analogamente i beni assoggettati a regime di tutela «sono tutti quelli che concorrono a formare il paesaggio» (Predieri 1969), ossia a modificarlo e a modellarlo.
A dare determinatezza a questo indirizzo, che potrebbe apparire astratto ad una prima e superficiale considerazione, è l’art. 42, 2° comma, della Costituzione. Questa norma, com’è noto, riconosce e garantisce la proprietà privata e mediante la legge «ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti», allo scopo di assicurarne la «funzione sociale». La straordinaria portata giuridica e politica di questa norma sta nel fatto che essa ci pone dinanzi ad una nuova forma di proprietà, che per la prima volta è determinata dalla funzione che è tenuta a svolgere (Maddalena 2014; Rodotà 2013; Perlingieri 2012; 2006). Ciò significa che la prevista «funzione sociale» non è posta come un limite esterno dinanzi al quale la proprietà, a determinate condizioni, è tenuta ad arrestarsi. Nel caso della norma in questione, è la funzione a determinare la struttura proprietaria e non viceversa. Questo vuol dire che i beni nella prospettiva costituzionale sono tutti strutturalmente funzionalizzati.
Qual è il contenuto di questa funzione e chi lo determina? La struttura argomentativa della norma prevede che alla legge ordinaria sia affidato il compito sia di riconoscere e garantire la proprietà sia di determinarne «i modi di acquisto, di godimento e i limiti»; alla norma costituzionale, invece, è dato di indicare le funzioni,che – è bene ribadirlo – la legge ordinaria ha lo «scopo di assicurare». In sostanza «i modi di acquisto, di godimento e i limiti» stanno alla «funzione sociale» come la specie sta al genere. Ora, per Predieri, la norma di riferimento per funzionalizzare la proprietà è evidentemente quella relativa alla tutela del paesaggio, che di per sé non basterebbe a determinare una tale funzionalizzazione, ma che riesce a farlo proprio in relazione alla norma sulla proprietà. Il dispositivo ermeneutico diviene ancora più serrato con il richiamo che l’autore fa della norma sull’iniziativa economica che – secondo l’articolo 41, 2° comma – «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
«L’imposizione di fini o di funzioni – egli scrive – è posta dalla norma costituzionale, che subordina il godimento dei beni alle esigenze di tutela del paesaggio, e all’imposizione di un uso adeguato, demandando ad atti di attuazione della norma costituzionale la finalizzazione della proprietà. E questi beni sono tutti quelli che costituiscono l’ambiente tutelabile, modificabile, controllabile, non solo una parte di essi» (Predieri 1969: 44-45).
La proprietà privata in tal modo si presenta «come mezzo tecnico per raggiungere i fini di mutamento della società» (Predieri 1981) previsti dalla Costituzione. Questo approccio spinge Predieri a fare un ulteriore passaggio che lo porterà a considerare la norma sulla tutela del paesaggio non solo coordinata con altre disposizioni costituzionali ma finanche con le leggi ordinarie. Egli afferma infatti che la regolazione del paesaggio «coincide con la pianificazione del territorio o urbanistica nel senso in cui il termine è stato definito dall’art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977», e cioè, testualmente, come «la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente». Nella prospettiva delineata da Predieri, l’urbanistica diviene una forma di attuazione del dettato costituzionale e com’è stato recentemente messo in evidenza egli per questa via intendeva «caratterizzare l’intera pianificazione territoriale di qualsiasi livello come necessariamente adattata ai valori paesaggistici» (Severini 2019).
In conclusione, la norma sulla tutela del paesaggio – mediando lo spazio attraverso i diritti fondamentali ed essendo posta fra i principi generali dello Stato costituzionale – costituisce un punto di incontro attivo tra i tre elementi costitutivi della Stato: popolo, territorio e sovranità. Il Paesaggio – nella sua componente visibile e invisibile – «viene considerato come elemento fondamentale non tanto per la sussistenza nozionale della struttura e del potere dello Stato; ma perché è, insieme, oggetto dell’azione dello Stato-apparato e dello Stato-comunità» (Predieri 1981).
Il potere sul territorio – in quanto «oggetto di azione giuridica diretta» – «si sostanzia e si specifica nella tutela del paesaggio, come potere di regolazione degli interventi delle attività umane sul territorio, in un mutamento che conservi i valori culturali e storici della nazione – e cioè della continuità culturale del popolo – e migliori la qualità della vita e le possibilità di sviluppo della persona, nel quadro della norma fondamentale, della supernorma costituzionale, costituita dall’art. 3 comma 2» (Ivi).
Il congegno teorico e giuridico elaborato da Predieri, che ha trovato applicazione in molte sentenze della Corte costituzionale e un riflesso legislativo nell’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha permesso a tante realtà territoriali di far valere i propri diritti, di rivendicare lo spazio terrestre come luogo di radicamento e concretizzazione della propria persona.
Questo approccio teorico, inoltre, ci permette di sfuggire a quell’universalismo che per lungo tempo ha posto il Territorio come un luogo neutrale della convivenza civile, un supporto astratto per l’organizzazione dello Stato e per la circolazione dei diritti. Da questa prospettiva finanche la Natura ci appare un artefatto, una costruzione culturale, un campo di battaglia (Keucheyan 2019; Latour 2000; Stenghers 1993).
Oggi a postulare uno spazio di tipo newtoniano sono sopratutto le grandi multinazionali «con la differenza che, se per uno Stato ottocentesco si profilava una distinzione fra l’interno (lo spazio nazional-territoriale) e l’esterno (le res disponibili secondo la dottrina della occupatio), per un’odierna impresa multinazionale la distinzione fra l’interno e l’esterno sfuma nella misura in cui essa, proiettandosi nello spazio nella sua interezza e globalità, sembra sfuggire a precise localizzazioni» (Costa 2019: 31). A questa tendenza anche molti Stati sembrano cedere.
Non è, dunque, azzardato postulare che contro questa logica gli Stati costituzionali dei diritti e dei bisogni – rianimati dalle lotte per la terra, la salute, la sovranità alimentare, la giustizia ambientale – potrebbero rappresentare un argine possente: ordinamenti giuridici-politici densamente abitati da molteplici e autonome forme di vita contro lo spazio vuoto della mercificazione che avanza come nuova forma di occupatio.
Queste considerazioni ci paiono utili in un tempo – il nostro – in cui il diritto è sempre più deterritorializzato. In questo suo essere sradicato esso è catturato dalle élites globaliste che lo vogliono svincolato sia dai legami di solidarietà – che attraverso di esso, per oltre un secolo, sono stati garantiti o quando disattesi potevano essere reclamati -; sia dal patto di cittadinanza – che nella forma delle Costituzioni ha posto al centro dell’ordinamento giuridico la garanzia dei diritti fondamentali. Il risultato più evidente di questa deterritorializzazione sono i nuovi nazionalismi e il disordine globale, segnato sempre più frequentemente da guerre asimmetriche combattute oramai fuori dai limiti posti dal diritto internazionale. Guerre preventive, guerre umanitarie, chiusura dei confini nazionali, negazione del diritto d’asilo, estinzione delle altre specie viventi sono l’immagine allo specchio di un’umanità sospesa su uno spazio liscio, immaginato e preteso senza striature né bordi.
Nonostante ciò lo spazio – carico di tutta la sua polisemicità e ambiguità – è forse la sola precondizione per ripensare e rifondare un ordine politico-sociale sia a livello locale che globale. Questo implica una riconsiderazione e una risignificazione della natura dello spazio in senso politico. Lo spazio, detto in altri termini, va ripoliticizzato, cioè pensato in relazione e in funzione dei concreti legami sociali e vincoli solidaristici multispecie che a partire da esso possono costituirsi. Da queste considerazioni è probabilmente possibile ri-pensare un nuovo nomos che sappia ri-mediare il rapporto ineludibile fra Diritti, Stato e Territorio.
Testi Citati
Alpa 2019. Guido Alpa, Aspetti civilistici della nozione di “paesaggio” elaborata da Alberto Predieri, in Il “paesaggio” di Alberto Predieri, a cura di Giuseppe Morbidelli e Massimo Morisi, Firenze, Passigli Editori, 2019.
Capone 2021. Nicola Capone, Diritti, Stato e Territorio tra primo e secondo Novecento. I contributi di Santi Romano e Tomaso Perassi e la svolta costituzionale di Alberto Predieri, in «Politica del diritto», n. 1, Bologna, il Mulino, 2021.
Capone 2019. Nicola Capone, L’invenzione del paesaggio. Lo spazio terrestre nella prospettiva costituzionale, in Politica del diritto, n.1, Bologna, il Mulino, 2019.
Costa 2019. Pietro Costa, I diritti dell’Uomo fra spazialità ’newtoniana’ e ’territorializzazione’ coloniale, in Diritti senza spazio?, a cura di G. Preterossi e L. Solidoro, Milano, Mimesis, 2019.
Ferrajoli 2013. Luigi Ferrajoli, La democrazia attraverso i diritti. Il costituzionalismo garantista come modello teorico e come progetto politici, Roma-Bari, Laterza, 2013.
Ferrajoli 2019. Luigi Ferrajoli, Gli spazi e i tempi della politica e dei diritti. In difesa del positivismo giuridico, in Diritti senza spazio?, a cura di G. Preterossi e L. Solidoro, Milano, Mimesis, 2019.
Fioravanti 2009. Maurizio Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Roma-Bari, Laterza, 2009.
Häberle 2005. Peter Häberle, Lo Stato Costituzionale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 2005.
Keucheyan 2019. Razmig Keucheyan, La natura è un campo di battaglia. Saggio di ecologia politica, Verona, ombre corte, 2019.
Latour 2000. Bruno Latour, Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000.
Morbidelli 2019. Giuseppe Morbidelli, Il contributo fondamentale di Alberto Predieri all’evoluzione e alla decifrazione della nozione giuridica di paesaggio, in Il “paesaggio” di Alberto Predieri, a cura di Giuseppi Morbidelli e Massimo Morisi, Firenze, Passigli Editori, 2019.
Predieri 1969. Alberto Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Urbanistica, Tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, Giuffrè, 1969.
Predieri 1981. Alberto Predieri, Paesaggio, (voce) in Enciclopedia del diritto, XXXI, (online), 1981.
Rodotà 2012. Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma, Laterza, 2012.
Settis 2010. Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Torino, Einaudi, 2010.
Severini 2019 Giuseppe Severini, L’evoluzione storica del concetto giuridico di paesaggio, in Il “paesaggio” di Alberto Predieri, a cura di Giuseppi Morbidelli e Massimo Morisi, Firenze, Passigli Editori, 2019.
Stengers 1993. Isabelle Stengers, Le politiche della ragione, Bari-Roma, Laterza, 1993.