Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

I quarant’anni della Fondazione Luigi Micheletti (1981-2021)

image_pdfScaricaimage_printStampa

La Fondazione Micheletti ha 40 anni, come raccontarli? Qui non intendo scrivere “nella pietra” tutto quello che è stato fatto o tentato, vorrei semmai provare a spiegare cos’è la Fondazione Micheletti e perché la sua è una storia importante, oggi.

Breve storia delle origini

Aprire una biblioteca-archivio-centri studi di storia contemporanea in una città centrale a livello economico ma periferica a livello culturale, per di più senza tradizioni universitarie, pare incanalare ogni ambizione dentro un orizzonte inevitabilmente locale. Ora, ovviamente il rapporto con il territorio c’è sempre stato, ma per molti versi la singolarità della Fondazione Micheletti è apprezzabile solo se considerata in prospettiva nazionale.

Per esempio, tra le prime pubblicazioni collegabili all’Archivio (non ancora Fondazione) Micheletti spicca, nel 1974, un’opera a più mani pubblicata da Feltrinelli: Riservato a Mussolini. Notiziari giornalieri della Guardia nazionale repubblicana novembre 1943-giugno 1944. I Notiziari, redatti dal Comando Generale della Guardia Nazionale Repubblicana, avente sede a Brescia, erano stati recuperati da Luigi Micheletti nel luglio del 1965. Questi rapporti di polizia dattiloscritti, inviati quotidiamente a Mussolini e ai suoi più stretti collaboratori, permettono un accesso puntuale alla situazione politica e sociale reale del territorio della Repubblica di Salò (eventi, scioperi, attività dei partigiani etc.). Questi documenti, di grandissimo valore storico, sono stati poi digitalizzati e sono oggi consultati online da centinaia di utenti l’anno.

Siamo a Brescia? Indubbiamente, le carte sono su in archivio, ma la rilevanza è ovviamente molto più vasta. Potrebbero seguire molti altri esempi, chiederete, “molti” quanti? Beh, meno di 100, ma più di 10: il convegno in cui Pavone parla per la prima volta di “guerra civile” e Pajetta la prende male, i fondi sugli Internati Militari, la mostra sull’iconografia della RSI … Tanti materiali unici, tante iniziative pionieristiche, non di rado controcorrente.

Altro tratto distintivo, la singolarità di Luigi Micheletti. La Fondazione, infatti, nasce nel 1981, ma la sua base archivistica si è andata costituendo negli anni Sessanta e Settanta grazie all’appassionata attività di questa figura davvero rara di partigiano, imprenditore e organizzatore di cultura. È sufficiente scorrere l’elenco degli Istituti Culturali italiani, quindi gli enti “fratelli” della Fondazione, per rendersi conto che generalmente questi enti sono accomunati da due elementi: l’essere dedicati a figure rilevanti della storia politica nazionale (Sturzo, Gramsci, Einaudi etc.) e l’avere sede a Roma (soprattutto), Firenze, Milano o Torino. Che c’entra Micheletti? Per molti versi, nulla, ed è questo il punto. Un imprenditore impegnato ma non pensiamo a Olivetti o i suoi molti epigoni, qui si parla di una persona fortemente radicata nello Brescia popolare, da giovanissimo partigiano garibaldino, poi comunista (tesserato ma non inquadrato), uno che aveva potuto studiare poco e non diventerà mai un “colto”. Da non intellettuale (con punte anti-intellettuali), riesce ad aggregare studiosi (accademici e non, la forte presenza di intellettuali outsider rimarrà un tratto caratterizzante) e a costruire un’istituzione culturale capace di distinguersi, come si diceva, sul piano nazionale, per i materiali raccolti (da notare che la Fondazione nasce avendo sostanzialmente come base archivistica quanto conferito dal fondatore) e per il lavoro di valorizzazione e ricerca (convegni, pubblicazioni…).

A livello tematico, almeno fino all’inizio degli anni ‘90, è ricorrente il tema del fascismo e delle ideologie della destra, con particolare riferimento al periodo della Repubblica di Salò, ma con prospettiva che arriva a includere il neofascismo (da segnalare, tra le altre cose, la più ampia documentazione fotografica disponibile sulla Strage di Piazza della Loggia). Sempre nell’ambito della raccolta di documentazione politica su fenomeni contemporanei, spiccano i materiali (soprattutto manifesti), il convegno e la pubblicazione sul leghismo delle origini (siamo nei primi anni Novanta, cioè quando il leghismo era guardato con sufficienza, se non proprio con semplice disprezzo).

Parallelamente al lavoro sulla storia politica e sociale si sviluppa un interesse per l’archeologia industriale: uno dei primi e più importanti progetti della neonata Fondazione è stato un censimento del patrimonio storico-industriale della Lombardia, compiuto tra il 1982 e il 1987 sotto l’egida di quell’assessorato alla cultura di Regione Lombardia promosso e guidato dall’on. Sandro Fontana. Ecco l’altra figura-chiave della Fondazione, da un punto di vista politico-istituzionale: un politico bresciano di livello nazionale, con studi storici alle spalle e grande curiosità intellettuale, democristiano. Sarà per breve tempo Ministro dell’Istruzione, sarà a lungo Presidente della Fondazione negli anni 2000, nonostante le barricate dei custodi della linea (loro).

Il censimento, dicevamo. Questa iniziativa si accompagnò al lancio della rivista “Archeologia industriale”, il cui primo numero uscì nel 1982 e che fu allora punta avanzata di quel movimento culturale che, nato in Inghilterra all’inizio degli anni Sessanta e diffusosi in Italia alcuni anni dopo, promuoveva lo studio e il recupero dei monumenti della storia industriale. In quegli anni Micheletti diede inizio a una raccolta di macchine e al progetto di quello che diventerà il musil – Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia. In questo contesto, pieno di fermenti culturali, Luigi Micheletti conobbe e strinse amicizia con Kenneth Hudson, lo studioso inglese unanimemente posto all’origine di questo nuovo modo di guardare alla modernità e al suo passato.

Alla morte di Micheletti, avvenuta improvvisamente nel 1994, Hudson decise di aprire una specifica sezione dedicata a musei della tecnica, dell’industria e della scienza all’interno dell’European Museum of the Year Award. Fu così che nel 1996 venne assegnato, oltre all’EMYA Award, il primo Luigi Micheletti Award (vinto dal DASA di Dortmund, esposizione unica in Europa dedicata alla salute sul lavoro). Il premio è diventato oggi il più importante riconoscimento europeo per musei di storia contemporanea, dell’industria e della scienza.

Quarant’anni dopo

Siamo saltati all’oggi. Interrompo quindi il racconto e ricomincio dal capo opposto.

Siamo ancora ben dentro alla prima pandemia di un mondo retto da un capitalismo compiutamente globalizzato.

In Italia, dopo anni di vacche magre imposte dall’austerità UE, è tempo di vacche grassissime: soldi regalati per rimettersi a posto la casa, soldi persino perché ogni biblioteca (tra cui quella, di fatto chiusa, della Fondazione Micheletti) dia ossigeno alle librerie. Molti sono e saranno in difficoltà economiche, ma il segno dominante di questa inedita crisi è diventato: spendere, se possibile investendo. Al centro delle strategie di investimento, il tema della transizione ecologica. D’altra parte, prima, nel 2018, una quindicenne aveva pur aperto la stagione dei Fridays for Future. Finiscono invece nel silenzio imprese che, pochi anni fa, avevano mobilitato in un senso o nell’altro l’opinione pubblica mondiale.

Cos’avrà mai di importante da dire una realtà come quella finora descritta, di questi tempi?

Nella fase che va dalla morte di Micheletti ad oggi, la Fondazione è stata segnata dall’attività scientifica e organizzativa di Pier Paolo Poggio. Diventa marcata e sistematica l’attenzione per i temi legati alla crisi ecologica, all’ambientalismo scientifico, allo studio del ciclo delle merci e dei rifiuti, sino alla ricerca in ambito di energie alternative. L’originale intenzione di intrecciare la storia delle idee con la storia sociale e industriale si allarga allora fino a comprendere la riflessione sul ciclo energia-materia-tecnica-prodotti-uso-rifiuti, basato sulla collaborazione con uno dei più originali e stimati esponenti dell’ambientalismo su basi scientifiche, Giorgio Nebbia, professore emerito di merceologia e, tra le altre cose, grande divulgatore di tematiche legate all’ecologia (fu così che nacque tra l’altro, nel 1999, “AltroNovecento”).

Lo stesso progetto museale risulterà profondamente informato da questa sensibilità: il museo dell’industria e del lavoro è pensato come monumento dell’industrializzazione novecentesca e, al contempo, come vetrina dell’innovazione, con al centro il nodo del rapporto tecnica-ambiente. Si spiega in questo modo, per fare solo un esempio, l’inclusione nella collezione dei due modelli di reattore Ansaldo installati nelle centrali nucleari di Caorso e Trino. E nello stesso modo si spiega la costituzione di un fondo d’archivio dedicato all’energia nucleare, utilizzato per le (poche) ricerche in merito. Un patrimonio molto contemporaneo, confermano le cronache di queste settimane.

In ogni caso, a partire dal primo decennio del XXI secolo, le principali energie della Fondazione si sono orientate sul musil, la cui prima sede sarà inaugurata nel 2008: si tratta del magnifico Museo dell’energia idroelettrica di Valle Camonica, seguito l’anno successivo dall’altrettanto suggestivo Magazzino Visitabile di Rodengo Saiano. Si tratta di due strutture davvero straordinarie, avviate grazie al lavoro indefesso di Poggio e dello “staff” del museo (le virgolette si spiegano con il fatto che lo staff, dal punto di vista operativo, era riconducibile a una sola persona dedicata ed impiegabile “sul campo”, cui poi si aggiungeranno nel tempo alcuni collaboratori, tra cui il sottoscritto).

Dal punto di vista della storia politica e della riflessione teorica, tra le altre cose gli anni ‘10 vedranno l’uscita dei 5 tomi del progetto dedicato al “comunismo eretico e pensiero critico”. Si tratta di un attraversamento della storia del Novecento a partire dalla discontinuità segnata dalla Rivoluzione russa, passando in rassegna i contributi di autori e movimenti che, su scala mondiale, si sono opposti all’impianto leninista-stalinista senza legittimare le varie declinazioni del sistema capitalistico-liberale. Quest’opera, gigantesca non solo se rapportata alle scarse risorse a disposizione, congiunge il precedente lavoro di documentazione della realtà del comunismo sovietico e l’interesse per il dissenso con l’individuazione nel rapporto tecnica-natura della faglia fondamentale attorno a cui ripensare storia e presente. Quindi l’attenzione per la dimensione della politica non viene meno: le categorie politiche novecentesche (in realtà quasi sempre ottocentesche) sono considerate una sorta di gabbia concettuale che impedisce di elaborare un pensiero all’altezza delle sfide contemporanee. Di qui il perdurante interesse per il Sessantotto, unico periodo di effervescenza collettiva in cui quei dogmi (anche interni al pensiero critico, a partire dall’economicismo) vengono messi in discussione, non a caso con una forte apertura per l’orizzonte ambientale (subito richiuso, soprattutto in Italia, dal prevalere di settarismi e mitologie varie).

Le opere più significative escono in co-edizione con la Jaca Book di Sante Bagnoli, una persona e una casa editrice da sempre molto vicine al progetto culturale della Fondazione.

Oltre alla rivista e alle pubblicazioni, da citare almeno l’impegno a livello di acquisizione di fondi archivistici, a partire dall’imponente archivio (cartaceo e digitale) di Giorgio e Gabriella Nebbia, al Fondo Laura Conti, al Fondo Dario Paccino … Materiale salvato, in piccola parte catalogato, conosciuto e studiato molto meno di quel che meriterebbe.

Un primo bilancio

Proprio nel quarantesimo della Fondazione, il mandato di Pier Paolo Poggio si è concluso. È presto per i bilanci, ma due conti possiamo cominciare a farli, almeno con riferimento alla seconda parte della vita della Fondazione Micheletti, quindi al periodo successivo al 1994 (sono 27 anni).

Abbiamo parlato di conti, forse è bene accennare alle basi economiche della Fondazione Micheletti. Anzitutto, la sede è messa a disposizione dal 1981 in comodato gratuito dal Comune di Brescia. Dato l’esaurimento degli spazi, molti materiali sono depositati presso il musil e altri spazi cittadini. Dal punto di vista economico, a partire dagli anni 2000, le entrate più significative sono di fonte ministeriale (a lungo soprattutto MIUR, adesso prevale il Mibact), con una partecipazione di Comune e Provincia. In tutto si tratta di circa 100.000 euro. Data la progressiva diminuzione delle fonti ordinarie (che non sono mai state milionarie, ma si sono aggirate a lungo sui 250.000 euro), è diventato sempre più importante l’accesso a bandi in grado di sostenere progetti specifici (e annesse collaborazioni precarie). Una quota non trascurabile (circa il 15% degli ultimi bilanci) è poi costituita da donazioni di privati. In sintesi, la tendenza complessiva, almeno dal 2000 in poi, consiste nella sostituzione di una gestione di tipo burocratico con una di impianto privatistico, dove il modello non è certo la società per azioni, ma la bottega che arriva a fatica a fine mese.

Quindi, quando si parla di “direzione Poggio” si fa riferimento a un’impostazione culturale ma anche a strategie e tattiche di sopravvivenza, forzatamente diverse da quelle possibili in un contesto segnato da reti riconducibili direttamente a Luigi Micheletti. Anche in tal modo si spiega lo spostamento dell’asse istituzionale dalla direttrice Brescia-Milano a quella Brescia-Roma: gli interlocutori decisivi saranno e sono i ministeri, e non più gli assessorati alla cultura.

Passiamo ora al livello più politico della vita istituzionale dell’ente.

Anzitutto, prima di essere sostituito alla direzione della Fondazione Micheletti, Poggio è stato sostituito alla direzione del musil. Il passaggio è avvenuto a fine 2019 in modo traumatico, dopo umilianti (per Poggio e per chiunque dotato di un minimo di lucidità e umanità) scontri con l’allora presidente del musil.

Nel maggio del 2020, quando i più, soprattutto a Brescia, erano legittimamente presi da altre questioni, è stata riconosciuta come urgenza assoluta la rapida sostituzione di Poggio, allora in condizioni di salute difficili, anche dalla direzione della Micheletti (la carica era in scadenza a fine 2021). Dopo un periodo di transizione, con uno sfondo fatto di contrasti meno aperti ma non meno netti, in aprile 2021 Poggio ha rassegnato le dimissioni ed è stato avviato un nuovo corso.

Queste modalità indicano come minimo che il lavoro svolto da Poggio, soprattutto nel periodo più caratterizzato dalla sua impostazione, non ha riscosso consenso unanime.

Al di là di dinamiche endogene previste quanto desolanti, al di là di più comprensibili divergenze sull’ambito gestionale, le forme di questo passaggio lasciano intendere un chiaro giudizio di tipo culturale, e cioè un rigetto, una critica o (almeno) una profonda distanza nei confronti dell’impostazione sopra delineata.

Proprio negli anni in cui il tema della sostenibilità è diventato una sorta di mantra, proprio quando la famosa replica dei fatti conferma la centralità della questione ambientale e di una tecnica adeguata, quando l’inaggirabilità della “crisi ecologica” (titolo di un libro di Poggio del 2003) è ormai riconosciuta anche dai più convinti difensori dello status quo paleo-industriale, paiono prevalere tendenze contrarie riconducibili a tre matrici complementari:

  • denegazione o relativizzazione: la questione ambientale non è una priorità; la storia dell’industria non è importante e comunque non interessa a nessuno; il comunismo sovietico è un male assoluto alieno che non necessita di ulteriori rimestamenti; e varianti;
  • squalifica: la tecnica è cruciale, l’industria e il lavoro contano, la questione ambientale è prioritaria, ma sono cose troppo serie per essere lasciate a soggetti ritenuti non abbastanza autorevoli e affidabili;
  • sansepolcrismo: un centro studi di storia contemporanea con i materiali e l’identità della Fondazione Micheletti va ricondotto alle priorità originarie e ri-centrato sul livello più propriamente e classicamente politico (fascismo, anti-fascismo e loro attuali declinazioni, in un orizzonte sostanzialmente civico-costituzionale).

Il fatto che il progetto museale sia in una crisi sempre più grave nella sua parte parte più ambiziosa (la Sede Centrale di Brescia) e sia a concreto rischio di implosione nella sua parte già realizzata, pur includendo formalmente i principali soggetti del territorio, è principalmente un esito delle prime due tendenze. Certo, errori; certo, incroci sfortunati; ma c’è della logica, in questa lunga stasi.

Dirà il futuro se e come si comporranno le forze che animano attualmente la Fondazione Micheletti – realtà tra l’altro appena uscita, soprattutto grazie all’attuale Presidente, on. Rebecchi, da gravi difficoltà economiche, ora risanata ma pur sempre ridotta ai minimi termini in fatto di organico.

Di sicuro, una delle note di speranza è costituita proprio da “AltroNovecento”, una rivista portata avanti grazie a una rete di collaborazioni su base volontaria che, per quantità e qualità dello sforzo, pochissime altre istituzioni del genere possono vantare.

Non sono state citate gran parte delle persone che, da molti anni ma spesso ancora di più in questi mesi, alla Fondazione Micheletti hanno dato generosamente il loro tempo e le loro idee: sono parecchie e si configurano come l’eredità collettiva più vitale di un percorso faticoso ma senza alcun dubbio coerente e concludente.

image_pdfScaricaimage_printStampa
Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articolo Precedente

Ogni cosa è connessa. Uno sfaccettato dialogo tra ambiente e prospettiva di genere alla Scuola estiva della SIS

Articolo Successivo

Dario Paccino. Un archivio per un metodo materialista

Articoli Collegati
Total
0
Share