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La via di Laura Conti

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Valeria Fieramonte, La via di Laura Conti, Enciclopedia delle Donne, Milano 2021

Chi non ha ancora avuto la fortuna di conoscere la figura di Laura Conti (Udine 31.3.1921-Milano 25.5.1993), può farsene una buona idea attraverso il libro della giornalista scientifica free-lance Valeria Fieramonte, La via di Laura Conti (Enciclopedia delle Donne, Milano 2021), pubblicato nel centenario dalla nascita di colei che è considerata la “madre” fondatrice – ma sarebbe più opportuno definirla “sorella maggiore” – dell’ambientalismo in Italia. “Ecologia, politica e cultura a servizio della democrazia”, recita giustamente il sottotitolo di questa preziosa biografia, edita dopo un lavoro pluriennale fra le memorie e le carte conservate al circolo Legambiente di Seveso dedicato a Laura Conti, per esempio, o fra gli archivi della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, svolto da una delle più giovani amiche di Laura Conti, come spiega la stessa Valeria Fieramonte in un breve passaggio autobiografico (pp. 192-193) che sovrappone le vicende della protagonista e dell’autrice del libro. Quest’ultima è riuscita a risalire fino alle origini udinesi dei nonni della scrittrice e ambientalista friulana e a rinforzare nella biografia il senso e la vitalità delle sue battaglie e delle sue riflessioni.

Politicamente impegnata fin dalla giovinezza e attivista partigiana, Laura Conti fu internata come antifascista nel campo-lager di smistamento di Gries, presso Bolzano, durante la seconda guerra mondiale; un’esperienza drammatica, poi trascritta in La condizione sperimentale (1965). Questo evento segna – e così lo intende anche Valeria Fieramonte – il punto di inizio imprescindibile da cui può iniziare a snodarsi, capitolo dopo capitolo, ogni tentativo di riassumere e spiegare l’intensità e i modi della formazione e poi dell’attivismo sociale ed educativo di Laura Conti. Osservatrice attenta e sempre capace di una visione dall’interno degli eventi storici che le toccò di attraversare, Laura Conti si può definire come una delle più fiere portatrici di una visione plurale – ancor più che femminista, seppure femminista – che in Italia ha similarità con le figure di Ada Gobetti, Bianca Guidetti Serra, la documentarista Cecilia Mangini e le storiche Anna Bravo e Anna Maria Bruzone, mentre a livello internazionale è opportuno e utile confrontarla sul piano educativo con la scrittrice ambientalista e biologa marina statunitense Rachel Carson.

Laura Conti fu prima di tutto un medico, attentissima alla questioni di genere e della sessualità (si veda nel libro il capitolo “Rivoluzione ed educazione sessuale”). Nel suo curriculum universitario si annovera una tesina sull’antesignano della medicina del lavoro, Bernardino Ramazzini. Fu anche grazie alle competenze sanitarie che diventò attivista per l’ambiente e fautrice della partecipazione diretta dei cittadini a presidio della salute collettiva e del territorio. Fu inoltre consigliera regionale in Lombardia, oltre che scrittrice e deputata. All’esperienza personale di Laura Conti nel Parlamento italiano, svoltasi durante la X legislatura (1987-1991) come indipendente nelle fila del PCI – mentre l’omologo “fratello maggiore” dell’ambientalismo italiano, Giorgio Nebbia (1926 – 2019), sedeva al Senato – è dedicato un capitolo del libro di Valeria Fieramonte.

Il lascito culturale di Laura Conti è sottovalutato dai circuiti culturali convenzionali e non sempre è conosciuto a fondo come meriterebbe, nemmeno da moltissimi studiosi e attivisti dell’ambientalismo a cui tornerebbe estremamente utile, ma è comunque fondamentale per comprendere quanto sia indispensabile e profondamente convincente una lettura al “femminile” della natura e della società per la teoria e la pratica della sostenibilità, non solo in campo ambientale. Valeria Fieramonte, che è un’autrice coinvolta e partecipe dei temi trattati in questa biografia, è stata capace di lasciare latenti ma intuibili lungo l’intera struttura del libro i temi onnipresenti in ogni espressione del pensiero di Laura Conti. Nei suoi libri, nelle lezioni, nei saggi, perfino negli interventi al parlamento o al consiglio regionale lombardo, l’autrice friulana contemplava l’accoglienza, la riflessione collettiva e a lungo termine, l’accettazione di ogni diversità, la cura come relazione e la relazione come cura per le tante, troppe offese arrecate alla salute e all’ambiente dal sistema industriale e dall’economia di estrazione e sfruttamento. Questo insieme di sensibilità emergeva già in quello che Valeria Fieramonte, dedicandogli un brevissimo capitolo, definisce il “primo romanzo importante” (p. 76) di Laura Conti: Cecilia e le streghe uscito per Einaudi nel 1963, legato all’esperienza della professione medica sempre frammista al senso di frustrazione, fra coinvolgimento e distacco di fronte all’inesorabilità della malattia, e ambientato in una Milano che già percepiva i rischi dell’inquinamento e delle tossicodipendenze correlate con il tanto agognato passaggio alla modernità.

Le questioni di genere e la visione femminile che in Cecilia e le streghe sono straripanti, sono riflesse anche in La via di Laura Conti in forma trasversale su ogni tema trattato e poi, più direttamente, nei capitoli “Donne e femminismo” e nella denuncia della discriminazione politica di genere nel capitolo “Verdi ed ecofemministe in parlamento”, emblema di prevaricazioni misogine dure a morire perfino fra i presunti ecologisti. Potrebbero infatti sembrare, l’elezione e l’esperienza in parlamento, il coronamento di un successo personale di Laura Conti e collettivo nell’ottica di affermazione dell’ambientalismo sul piano culturale e sociale. In realtà le cose non andarono affatto nella direzione auspicata e quella prima fase del pensiero ecologista si sarebbe presto smarrita nel panorama politico italiano per poi perdersi quasi definitivamente con la scomparsa di Alexander Langer pochi anni dopo nel 1995. Da quel momento, l’ecologismo in Italia ha visto soprattutto un proliferare di ramificazioni, con pochissimi avanzamenti in chiarezza sulle priorità dei temi da perseguire e il perpetrarsi invece di fraintendimenti, come sui concetti di sviluppo, crescita, sostenibilità e sull’aggettivo “verde”.

Se a distanza di quasi trent’anni dalla morte di Laura Conti risulta quanto mai importante rileggere i suoi scritti, è anche per evitare il perpetuarsi di troppi equivoci e moltissime finzioni sull’ecologia, come la recente istituzione del “Ministero della transizione ecologica” affidato dal governo Draghi (2021) a un tecnocrate ex manager dell’industria bellica. Vanno anche ricordate le fruttuose e molteplici collaborazioni che Laura Conti instaurò con i migliori nomi del pensiero ambientalista in Italia, con il chimico Enzo Tiezzi e il geografo urbanista Virginio Bettini, per esempio, e in campo internazionale con il biologo Barry Commoner, la cui foto compare nel libro e in quarta di copertina accanto alla protagonista durante un incontro pubblico a Seveso.

Un esempio di come l’attivismo ambientalista può prendere forma e farsi educativo partendo dall’esperienza per elevarsi a livello mondiale è narrato da Valeria Fieramonte nel lungo capitolo “Seveso, lepri e distanze ambientali”, legato alla vicenda della nuvola di diossina fuoriuscita una domenica mattina (10 luglio 1976) da un reattore dell’ICMESA di Meda e poi dispersa sull’abitato di Seveso a Nord dell’hinterland di Milano. Alle contraddizioni della gestione tecno-scientifica prima e durante il caso “Seveso”, Laura Conti dedicò un saggio (Visto da Seveso, 1977) ancora fondamentale per comprendere quel che accadde in quei mesi, e un breve romanzo (Una lepre con la faccia di bambina, 1978) immaginato dal punto di vista dei ragazzi che era solita incontrare durante la sua attività di medico scolastico.

Per farsi un’idea, inoltre, di cosa Laura Conti intendesse per divulgazione e coinvolgimento dal basso in processi di apprendimento capaci di scavalcare le mura di una scienza sempre accompagnata dalla politica e dall’economia e che spinge in realtà verso il servilismo culturale, sono importati i passaggi che Valeria Fieramonte ha dedicato al libro Questo pianeta – aggiungendo al titolo “l’unico che abbiamo” nell’omonimo capitolo – e al volumetto La fotosintesi e la sua storia (Giunti, 1991), nel capitolo intitolato “L’umanità contro l’ossigeno”. Torna utile in queste letture anche riflettere sul metodo di analisi adottato da Laura Conti sempre in chiave pedagogica: l’esame accurato dei problemi ecologici, sereno ma insieme appassionato, orientato scientificamente ma mai distaccato cattedraticamente né disattento alle implicazioni sociali, approfondito eppure capace di spiegarsi con parole semplici con un linguaggio che oltretutto rende ragione di una studiosa che – come sottolinea l’autrice – ha sicuramente peccato di modestia nel considerarsi una non-scienziata. Questo è maggiormente vero osservando che dobbiamo a lei una delle prime, fondamentali riflessioni sull’ecosistema (Che cos’è l’ecologia, 1977) pubblicata in un paese che è tutt’oggi colpevolmente distratto sulle questioni ambientali e che non riesce a comprendere che non ci si può attendere dai governi – più o meno democratici, liberisti, economicisti, socialisti – la soluzione dei problemi ecologici solo in chiave di rinnovamento tecnologico, senza una conversione anche sul piano economico e culturale.

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