Riflessioni sull’attuale caos geopolitico.
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La fine dell’Occidente?
È la fine dell’Occidente, titolava perentorio il “Corriere della Sera” del 14 febbraio scorso, citando “Raphaël Glucksmann, deputato a Strasburgo e grande protagonista a sinistra della politica francese, da sempre impegnato a favore dell’Ucraina e contro l’imperialismo del Cremlino”.
Si potrebbe partire da qui per avviare una prima riflessione su che cosa sta avvenendo, con l’avvertenza che la situazione è in repentino movimento e che “grande è la confusione sotto il cielo”.
La complicazione dell’attuale momento è data anche dal fatto che, in particolare in Europa, a temere con angoscia la fine dell’Occidente e a spingere per il riarmo e per la guerra sono in gran parte gli eredi della sinistra democratica che un tempo rappresentavano una critica all’Occidente imperialista e che avevano la pace come bussola nel rapporto tra i popoli, mentre sembra essere l’estrema destra, con qualche incertezza della nostra Meloni colta in contropiede dall’amico Trump, a spingere per la trattativa e per por fine alla guerra. I verdi tedeschi sono forse il caso più clamoroso1, ma non scherza neppure il campione italiano dell’odierno antifascismo, Antonio Scurati, con la sua celebre uscita su “La Repubblica” del 4 marzo: Dove sono ormai i guerrieri d’Europa? e il suo accorato intervento alla manifestazione di Roma pro Europa (armata?) del 15 marzo per rivendicare le virtù di “noi” occidentali, declamate, sempre in quell’occasione, da Roberto Vecchioni, ricordando con orgoglio i grandi pensatori che appartengono solo a “noi” e che “gli altri” non hanno. Ezio Mauro, incurante del ridicolo, riesce ad affermare che oggi toccherebbe alla sinistra [?] salvare l’Occidente: “Nel rovesciamento del mondo, la sinistra può diventare il sostegno decisivo della democrazia, dell’Europa, dell’Occidente, tutti e tre sotto attacco. E’ un compito storico enorme, addirittura una missione. Ignorarlo non sarebbe un errore ma un tradimento”2.
In una situazione così squinternata si è costretti a navigare a vista correndo il rischio di aggiungere ulteriore confusione o fraintendimenti.
L’Occidente ovvero l’hybris del dominio del sistema o economia-mondo: breve flashback storico
Non è semplice raccapezzarsi nella definizione di questa realtà ambigua e contraddittoria che è oggi più che mai al centro del dibattito culturale e politico, definita impropriamente Occidente (come noto, oggi, ne farebbero parte anche il Giappone e l’Australia che con l’Occidente geografico convenzionalmente eurocentrico hanno poco a che spartire).
Innanzitutto, mi sembra utile la prospettiva storica, per tentare di trovare il bandolo della matassa Per questo mi appoggio sull’elaborazione di due grandi storici, sociologi ed economisti che hanno dedicato al tema una vita di ricerche soffermandosi sulla storia di lungo periodo: il nordamericano Immanuel Wallerstein (1930-2019) e l’italiano Giovanni Arrighi (1937-2009). Mentre per il Novecento, utilizzerò il fondamentale lavoro dell’inglese Erich Hobsbawm (1917-2012)3 e per una riflessione antropologica, filosofica e politica il testo di Serge Latouche, L’occidentalizzazione del mondo4, pubblicato in Italia nel 1992. Infine due autori che recentemente hanno aggredito direttamente il tema spinoso: Franco Cardini, storico medievalista, con il suo La deriva dell’Occidente5, ed Emmanuel Todd, sociologo, antropologo e storico francese con il suo La sconfitta dell’Occidente6.
L’Occidente moderno, come lo intendiamo comunemente oggi, nasce con i grandi viaggi europei tra il XIV e il XV secolo, con la “scoperta” per la prima volta da parte di un gruppo umano, segnatamente europeo, bianco e cristiano, del “sistema-mondo”, ovvero delle diverse presenze degli umani sul Pianeta. Come ricorda Cardini, fin dall’origine, Occidente ed Europa si identificavano anche per la comune etimologia: “è probabile che la parola Europa si connetta al semitico ereb e al greco erebos per indicare il luogo nel quale il sole va a nascondersi; mentre secondo analoga logica il termine che indica l’altro continente, l’Asia, avrebbe a sua volta a che fare con asu, il sorgere dell’astro diurno”7.
La “scoperta” del “nuovo mondo” fu accompagnata dalla pulsione arrogante, dall’hybris, per il dominio della nuova “economia-mondo” secondo il modello capitalistico, allora in gestazione. Wallerstein in verità usa il termine “egemonia”:
Si parla di egemonia nel sistema interstatale quando la corrente rivalità tra le cosiddette “grandi potenze” è così sbilanciata che una potenza può massicciamente imporre le sue regole e i suoi
interessi (anche solo attraverso un effettivo potere di veto) nell’arena economica, politica, militare, diplomatica, e anche culturale. La base materiale di questa potenza sta nella capacità delle imprese che vi risiedono di operare in modo più efficiente nelle tre maggiori arene economiche – produzione agro-industriale, commercio, e finanza. Il margine di efficienza di cui parliamo deve essere così grande da consentire a queste imprese di mettere fuori gioco le imprese che risiedono in altre grandi potenze, non solo nel mercato mondiale in generale, ma anche in particolar modo all’interno dei mercati interni delle stesse potenze rivali8.
L’Occidente ha espresso questa “egemonia” attraverso lunghi cicli di accumulazione che hanno avuto un diverso baricentro geografico. Secondo Wallerstein, nel corso della modernità sarebbero stati tre: quello delle Province Unite (attuali Paesi Bassi) nel diciassettesimo secolo, quello dell’Inghilterra nel diciannovesimo secolo e quello degli Stati Uniti nel ventesimo9. A questi Arrighi ne aggiunge uno che li precede, che potremmo definire proto-capitalistico, quello della Spagna cattolica della conquista dell’America della fine del quindicesimo secolo in sinergia finanziaria con Genova. Fondamentale per questo “primo ciclo sistemico di accumulazione” il ruolo della moneta e della finanza con tecniche inventate dai genovesi identiche a quelle che caratterizzano il capitalismo nell’età moderna (assegni e lettere di cambio ecc.) e garantendo la stabilità monetaria con una moneta d’oro di peso costante, denominata “lira di buona moneta” o “moneta di cambio”10. Già a partire da questo primo ciclo, secondo Arrighi, si manifestano i caratteri specifici dell’Occidente, comuni ai cicli successivi fino ad oggi, caratterizzati da “un espansionismo apparentemente privo di limiti degli stati europei a partire dalla seconda metà del XV secolo”. E aggiunge:
Gli straordinari vantaggi che i governi e le imprese europee furono in grado di cogliere impadronendosi del controllo del commercio con l’Asia, e su quello interno a quest’ultima, forniscono parte della spiegazione. Essi tuttavia non forniscono alcuna risposta a tre domande connesse: 1. Perché questo espansionismo senza precedenti ebbe inizio proprio allora; 2. Perché esso continuò, senza essere frenato dalla caduta di una potenza occidentale dopo l’altra, fino a che quasi tutta la superficie della terra fu conquistata da popoli di origine europea; 3. Se e come il fenomeno è stato legato alla contemporanea formazione e all’espansione altrettanto esplosiva del capitalismo come sistema mondiale di accumulazione11.
Ma gli interrogativi posti da Arrighi sono stimolanti anche al fine della nostra riflessione. Nel primo ciclo genovese Arrighi ricorda il ruolo che ebbe la religione cattolica e il fanatismo con cui la Spagna inquisitoriale di Isabella la interpretò sia con zelo e intolleranza nei confronti degli ebrei e musulmani “interni” (los Estatutos de limpieza de sangre12), sia con rinnovato fervore per le conversioni nel Nuovo Mondo, ottima motivazione per sottomettere quelle popolazioni e quei territori. Insomma una perfetta “combinazione di fanatismo religioso e imprenditorialità politica che li faceva assomigliare moltissimo […] ai mercanti genovesi”. E citando Henri Pirenne aggiunge a proposito di quest’ultimi: “Essi muovevano guerra agli infedeli con un ardente entusiasmo religioso; una guerra santa, per quanto estremamente redditizia…”13.
Insomma fin dalle origini dell’Occidente sembrerebbe che un ruolo l’abbia giocato l’immaginario che assegnava ai popoli protagonisti di questo nuovo sistema mondo, oltre al diritto di impossessarsi di tutte le risorse del Pianeta, il compito di cristianizzare e civilizzare le popolazioni native dei territori conquistati, in forza della superiorità della propria cultura, ovvero razza.
E se queste popolazioni si fossero dimostrate riottose a sottomettersi era legittimo sterminarle, in forza del fatto che “alle genti barbare e inumane che aborriscono vita civile conviene stare sottomessi al potere di popoli più umani e virtuosi, i quali, con l’esempio della virtù, delle leggi e della prudenza, loro facciano abbandonare la loro bestialità”. Sono le parole usate dal teologo cattolico Juan Ginés de Sepúlveda per giustificare la sottomissione dei nativi in occasione della “Disputa del Nuovo Mondo”, convocata dall’imperatore Carlo V nel 1550-51, che lo contrappose al frate domenicano, procuratore degli Indios, Bartolomé de Las Casas. Del resto la Chiesa cattolica, com’è noto, rimase a lungo incerta se i nativi d’America possedessero l’anima come gli europei e se quindi si dovessero considerare esseri umani.
Wallerstein e Arrighi ci raccontano come l’egemonia della modernità occidentale sia poi stata segnata nella fasi successive dal protestantesimo: infatti la prima, all’insegna dell’imperialismo spagnolo e della “lira di buona moneta” genovese, venne interrotta dal trauma della guerra dei Trent’anni (1618-1648) che aprì la seconda fase, quella delle Province unite olandesi e del fiorino, a sua volta interrotta dalla grande guerra francese e dalle guerre napoleoniche (1792-1815), che segnarono il prevalere dell’Inghilterra e della sterlina, fino al trauma della moderna “guerra dei trent’anni” (1914-1945) che determinò il passaggio (definitivo?) del testimone dell’egemonia agli Stati Uniti e al dollaro. Il motore ideologico, di quel passaggio del testimone dell’egemonia nel Seicento, secondo la lezione di Weber14, fu il protestantesimo la vera matrice del decollo dell’Occidente. Un mondo protestante che condivideva l’idea, ereditata dalla dottrina della predestinazione calvinista, secondo cui alcuni sono eletti e altri dannati, per cui gli uomini non sono tutti uguali, cosicché si confermava la presunzione di una civiltà occidentale superiore. E commenta oggi lo studioso dell’Occidente che ne preconizza la sconfitta: “Non sorprende, dunque, che le due forme più potenti o durevoli di razzismo siano emerse nei paesi protestanti. Il nazismo si è radicato nelle regioni luterane della Germania […] Quanto alla fissazione americana per i neri, ha anch’essa molto a che vedere con il protestantesimo. Infine, non vanno dimenticate l’eugenetica e le sterilizzazioni forzate, in particolare nella Germania nazista, in Svezia tra il 1935 e il 1976 e negli Stati Uniti tra il 1907 e il 1981: sono il logico risultato di un ambiente protestante che non riconosce tutti i diritti fondamentali a ogni singolo individuo”15.
Oltre a Bartolomé de Las Casas, va aggiunto che anche nei cicli di accumulazione successivi in Occidente si espressero voci dissonanti significative rispetto al sistema-mondo dominante, come Alexander von Humboldt16 (1769-1859) grande naturalista e viaggiatore tedesco, che contestò il colonialismo, lo schiavismo, lo sfruttamento della natura e dei popoli nativi oppure lo scrittore olandese Eduard Douwes Dekker (1820-1887), che con lo pseudonimo di Multatuli (in latino: ne ho sopportate molte) pubblicò nel 1860 un romanzo, Max Havelaard17, in parte autobiografico, di feroce denuncia del sistema coloniale delle indie orientali olandesi. Voci importanti che però non ebbero la forza di invertire il processo in corso. Vedremo, poi, che in particolare nel Novecento emergerà forte un “altro” Occidente, che, però, sul finire del secolo verrà sostanzialmente annichilito.
Ora, come ci ricorda Wallerstein, unanimemente riconosciute sono le “premesse metodologiche relative all’operare dell’economia-mondo capitalista. Il suo modo di produzione è capitalista: ovvero si afferma poggiandosi su un’inesauribile accumulazione di capitale”18. Inesauribile significa senza limiti, al punto che, occupato l’intero Pianeta, ora l’Occidente capitalista guarda ad altri pianeti. Potremmo a questo punto tentare di definire l’hybris, ovvero la tracotanza, come caratteristica propria dell’Occidente: propensione arrogante a dominare il mondo (imperialismo), in forza di una presunta superiorità razziale e culturale (razzismo e antisemitismo), e a sottomettere altri popoli ritenuti inferiori (colonialismo e neo-colonialismo) per alimentare un sistema economico basato sulla competizione, la libera concorrenza e l’accumulazione senza limiti di ricchezza (capitalismo).
Giustamente, a questo proposito, alcuni associano un altro termine greco per caratterizzare l’Occidente: pleonexia, ovvero voler avere sempre di più.
Ma l’Occidente si va definendo compiutamente, come è noto, con la rivoluzione scientifica e la conseguente rivoluzione tecnologica e industriale, quindi con il ciclo di accumulazione dell’Inghilterra.
Il campione mondiale di questo Occidente è probabilmente Cecil Rhodes (1853-1902): “Io sono convinto che noi siamo la miglior razza al mondo e che più terre occupiamo tanto meglio sarà per l’umanità. Pensate a quelle zone che sono abitate dalle peggiori specie umane che cambiamento si avrebbe se fossero portate sotto l’influenza anglosassone”19. E’ con lui che si affaccia esplicitamente per la prima volta il mito dell’Occidente destinato a dominare il mondo intero: “Perché non dovremmo formare una società segreta con un solo obiettivo la promozione dell’Impero Britannico e il portare il mondo intero sotto il dominio britannico, con il coinvolgimento degli Stati Uniti, per fare della razza anglosassone un unico Impero?”. Ed effettivamente per realizzare l’unum imperium costituì una lobby segreta e operò intensamente per tutta la vita20. A confortare il suo progetto e le sue idee imperialiste, colonialiste, razziste e classiste non è più soltanto la religione, ma la scienza e la conseguente tecnica, una “religione laica” ancor più potente, per suo statuto universale e quindi valida sull’intero Pianeta, le cui verità sono incontestabili almeno fino a quando vengano smentite da esperimenti od osservazioni che le dimostrino false. E la nuova scienza del vivente (biologia, zoologia, genetica ed eugenetica) e poi la sociologia, l’etnologia e l’antropologia, purtroppo, in questo caso tennero il punto per quasi due secoli, fornendo il combustibile ideologico all’hibris dell’Occidente moderno21.
Nel Novecento si afferma, contrastato, il quarto ciclo di accumulazione e di egemonia dell’Occidente: il dominio degli Stati Uniti d’America
Quest’ultimo parto, come è noto, è stato particolarmente doloroso con esiti anche imprevisti. Il reiterato tentativo della Germania di affermarsi in Europa come potenza egemone in alternativa all’impero inglese viene frustrato nella nuova guerra imperialista dei trent’anni (1914-1945), la cui dimensione distruttiva trascina con sé il declino dell’intera Europa, quindi, anche di Londra e l’affermarsi del nuovo ciclo di accumulazione nord-americano. I caratteri di quest’ultimo si manifestano in tre eventi simbolo. Alla fine della prima guerra mondiale il presidente democratico degli Usa, Woodrow Wilson, alla Conferenza di pace di Versailles impone la creazione della Società delle Nazioni con lo scopo di prevenire un nuovo conflitto tra le grandi potenze. Ma nello statuto di quella Società nulla si dice del superamento del colonialismo e dell’imperialismo, confermandoli implicitamente come costitutivi dell’ordine internazionale: da qui la successiva legittimazione del fascismo e del nazismo ad aspirare anch’essi ad un proprio impero, il “posto al sole”, il “Lebensraun”. Lo stesso democratico Wilson si opporrà alla richiesta del Giappone di inserire nello statuto la clausola di eguaglianza razziale. D’altronde Wilson era un suprematista bianco per eccellenza, sostenitore del Ku Klux Klan e non aderì mai alla sua creatura, la Società delle Nazioni, anche per mantenersi le mani libere nella gestione del proprio “cortile di casa” latino-americano dove l’esercito Usa compì con disinvoltura diversi massacri. Insomma era in perfetta sintonia con l’ultra razzista e colonialista inglese, coevo, campione dell’impero britannico in decadenza, Wiston Churchill22, degno quindi di raccoglierne il testimone.
Il secondo evento simbolo è la bomba atomica sganciata nell’agosto del 1945 sul Giappone: non vi era una ragione militare, ma si trattava di lanciare un messaggio al mondo, ovvero fino a dove l’Occidente a trazione Usa fosse disposto ad arrivare per mantenere il proprio dominio, un messaggio in particolare rivolto all’“altro Occidente” che era sorto in quella che Hobsbawm definì l’età della catastrofe, un effetto collaterale indesiderato della “guerra dei trent’anni”. Durante il primo round di quella guerra, come è noto, la rivoluzione bolscevica conquista il potere in Russia e, nonostante lo strenuo impegno dell’accoppiata Wilson e Churchill a sostegno dell’armata bianca (con una partecipazione italiana), esce vittoriosa anche dalla guerra civile. Nel secondo round, ebbe un finale inaspettato il progetto degli autori della Conferenza di Monaco del 1938 (le due potenze imperiali europee in decadenza, Inghilterra e Francia, e le due emergenti, Germania nazista e Italia fascista), di trovare un accordo che, sacrificando la Cecoslovacchia, indirizzasse verso est la brama di territori e risorse di Hitler, sbarazzando definitivamente l’Occidente della presenza incomoda dell’Unione sovietica. Com’è noto, fu quest’ultima a resistere e a sconfiggere gli eserciti di Hitler e di Mussolini e a liberare l’Europa dal nazi-fascismo, acquistando un enorme prestigio internazionale. Dunque l’esito, del tutto sorprendente, per il quarto ciclo di accumulazione dell’Occidente targato Usa fu un dominio solo su metà del mondo, con l’ossessione e la paura che l’altra metà potesse rappresentare una minaccia esiziale per il futuro dello stesso Occidente.
Il terzo evento simbolo, in questo nuovo contesto di bipolarismo e di “guerra fredda”, è la “dottrina Truman”, non tanto quella nota e propagandata dal Presidente degli Stati Uniti e rivolta ai popoli del Mondo libero piena di promesse di sviluppo e di liberazione dall’indigenza, purché non cadessero nell’orbita comunista23, ma quella elaborata a riflettori spenti e praticata nella realtà nei decenni successivi dalla nuova potenza egemone del sistema economia-mondo. Questa strategia è con crudo realismo delineata in una Nota del 27 febbraio 1948 stesa per uso interno dall’eminenza grigia della politica internazionale statunitense dell’epoca, una sorta di Kissinger degli anni Quaranta e Cinquanta, George Frost Kennan. La Nota merita di essere riportata integralmente, nella versione desegretata nel 1974, perché di una chiarezza esemplare e per certi aspetti profetica, laddove vede nell’Estremo Oriente il possibile futuro cruccio per l’egemonia Usa e preconizza la necessità in prospettiva di una politica senza scrupoli, appunto modello Trump:
Dobbiamo essere molto cauti quando parliamo di esercitare una “leadership” in Asia. Inganniamo noi stessi e gli altri quando pretendiamo di avere risposte ai problemi che agitano molti di questi popoli asiatici. Inoltre, abbiamo circa il 50% della ricchezza mondiale, ma solo il 6,3% della sua popolazione. Questa disparità è particolarmente grande tra noi e i popoli asiatici. In questa situazione, non possiamo non essere oggetto di invidia e risentimento. Il nostro vero compito nel prossimo periodo è quello di elaborare un modello di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di disparità senza danneggiare positivamente la nostra sicurezza nazionale. Per farlo, dovremo rinunciare a tutti i sentimentalismi e ai sogni ad occhi aperti; e la nostra attenzione dovrà essere concentrata ovunque sui nostri obiettivi nazionali immediati. Non dobbiamo illuderci di poterci permettere oggi il lusso dell’altruismo e della benevolenza mondiale. Tutti i popoli asiatici si trovano di fronte alla necessità di evolvere nuove forme di vita per conformarsi all’impatto della tecnologia moderna. Anche questo processo di adattamento sarà lungo e violento. È non solo possibile, ma probabile, che nel corso di questo processo molti popoli cadano, per periodi variabili, sotto l’influenza di Mosca, la cui ideologia ha un richiamo maggiore per questi popoli, e probabilmente una maggiore realtà, di qualsiasi cosa possiamo opporre ad essa. Anche questo è probabilmente inevitabile; e non potremmo sperare di combatterlo senza deviare una parte del nostro sforzo nazionale molto più grande di quella che il nostro popolo concederebbe volentieri a tale scopo. Di fronte a questa situazione sarebbe meglio rinunciare a una serie di concetti che hanno caratterizzato il nostro pensiero sull’Estremo Oriente. Dovremmo rinunciare all’aspirazione di “essere graditi” o di essere considerati come i depositari di un altruismo internazionale di alto profilo. Dovremmo smettere di metterci nella posizione di considerarli nostri fratelli e astenerci dall’offrire consigli morali e ideologici. Dovremmo smettere di parlare di obiettivi vaghi – e per l’Estremo Oriente – irreali come i diritti umani, l’innalzamento del tenore di vita e la democratizzazione. Non è lontano il giorno in cui dovremo fare i conti con i concetti di potenza. Meno siamo ostacolati da slogan idealistici, meglio è24.
Più chiaro di così!
I “trent’anni gloriosi”, l’unico periodo in cui i movimenti popolari hanno imposto le briglie all’Occidente, mitigandone l’hybris e la pleonexia
Come abbiamo visto, a dispetto del nuovo ciclo di accumulazione dominato dagli Usa, irrompe un fattore del tutto nuovo nella storia dell’Occidente, l’esperimento su larga scala di una visione della convivenza umana esattamente opposta all’Occidente dominante di cui sin qui si è trattato, sia nella versione imperialista liberale che nella versione autoritaria dei fascismi. Una visione umanistica alternativa, antimperialista, anticolonialista, antirazzista, insomma anticapitalista, che si era costruita all’interno dello stesso Occidente moderno in un lungo e secolare percorso, grazie al contributo di grandi intellettuali che avevano “tradito” la loro appartenenza al sistema dominante, innanzitutto, ovviamente, Karl Marx e Friedrich Engels, e grazie alle lotte e ai sacrifici di milioni di lavoratori, proletari e popoli che in quella visione vedevano l’unica opportunità per il proprio riscatto e per un’esistenza dignitosa. Un altro Occidente si era messo in moto, quello dell’uguaglianza tra gli uomini, della giustizia sociale e della pari dignità tra tutti i popoli, necessariamente opposto all’Occidente dominate. Non si intende qui neppure accennare ai limiti anche gravi, agli errori e alle involuzioni autoritarie di quell’esperimento sovietico, su cui sono stati spesi fiumi di parole. Intendiamoci, questa frattura tra due poli contrapposti non fu una passeggiata, e il vecchio Occidente fu in qualche modo costretto a scendere a patti con i comunismi, consapevole di dover fare i conti non solo con la forza che l’Unione sovietica aveva dimostrato a Stalingrado che fu contrastata con la “guerra fredda”, ma anche con l’attrazione che quella visione del mondo egualitaria e antirazzista necessariamente esercitava presso i popoli delle infinite colonie e tra tutti gli sfruttati del Pianeta. Insomma per la prima volta nella storia dell’umanità, nonostante i contrasti e i tanti contraccolpi che pure ci furono (il massacro di milioni di comunisti indonesiani nel 1965-66, l’uccisione di grandi leader della lotta di liberazione dal colonialismo, come il congolese Patrice Lumumba nel 1961 o la lunga segregazione di Nelson Mandela dal 1964 al 1990, e poi la guerra del Vietnam…), si aprì una prospettiva di convivenza tra i popoli e tra gli umani non più soggiogata alle leggi ferree della “crudele saviezza della natura”, che giustificavano “scientificamente” il dominio e lo sfruttamento del resto del mondo da parte delle razze superiori, ma riconsegnata alla libera scelta degli uomini nel definire regole condivise di pacifica convivenza, di riconoscimento di diritti inviolabili, di cooperazione.
Fu un periodo mirabile, per tanti versi inimmaginabile, definito “età dell’oro” dell’umanità, oppure i “trent’anni gloriosi”. Solo per esemplificare, potremmo citare alcuni degli eventi più significativi che misero sottosopra positivamente l’Occidente: la Dichiarazione universale dei diritti umani e la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite con la missione di scongiurare per sempre la guerra, l’impetuoso processo di decolonizzazione, il documento licenziato dall’Unesco nel 1951 che sanciva l’inesistenza di qualsiasi gerarchia tra le razze umane, il sistema pubblico dei servizi sociali essenziali (scuola, sanità, previdenza), i diritti per le donne a partecipare con il voto alla vita pubblica e a essere considerate alla pari in famiglia e nella società. Insomma l’idea chiave era la prevenzione: della guerra, attraverso la giustizia e la cooperazione tra i popoli; della povertà, attraverso il diritto di chi era sfruttato a conquistare con il conflitto sociale condizioni di lavoro dignitose; delle malattie, attraverso un ambiente di lavoro e di vita sano; dell’ignoranza, attraverso il diritto universale allo studio; dei disastri naturali, attraverso interventi per mettere in sicurezza il territorio. E questo grande obiettivo fu sostenuto da una rinnovata democrazia partecipativa e conflittuale innervata non sull’individuo, ma su grandi organizzazioni di massa sia di partito, che sociali, a partire dai sindacati e dai movimenti femministi; organizzazioni che erano luoghi di incontro, di dialogo e di crescita culturale collettiva, indispensabili nel “nuovo” Occidente per addomesticare gli “spiriti animali” del capitalismo facendo massa critica con la pressione dal basso, appunto, del popolo organizzato. Una democrazia, che con questa energia partecipativa agiva in una realtà statutale capace, pur con tante contraddizioni, di dire la sua per l’interesse della comunità nel governo dell’economia e nelle tutele sociali della cittadinanza: ne venne fuori in Occidente una sorta di capitalismo imbrigliato dal compromesso keynesiano, tra ragioni del mercato e bisogni sociali e umani. Una fase che investì e contaminò positivamente anche la Chiesa Cattolica, con il Concilio Vaticano II e la teologia della Liberazione. Si tratta del periodo in cui, secondo Hobsbawm, “la dimensione e l’impatto straordinari della trasformazione economica, sociale e culturale” hanno determinato “la più rapida e fondamentale trasformazione che la storia ricordi”25.
Ma quel periodo manifestò anche una faccia oscura, ovvero gli eccessi nel degrado della natura, sia per i prelievi che la impoverivano, sia per i rifiuti che la inquinavano, e non solo in Occidente, ma anche nei Paesi del socialismo, ugualmente contagiati dal mito della crescita e dello sviluppo. Ma anche su questo piano, un Altro Occidente fu per la prima volta in grado di elaborare una critica profonda del rapporto malato tra economia e natura, avanzando anche proposte concrete per strategie alternative. E’ in quel contesto che sboccia la “primavera ecologica” 26, dalla rivisitazione dell’ecologia da parte di scienziati e uomini di cultura che si erano avvicinati al marxismo, che la strapparono all’“ambientalismo delle contesse”, quello del conservazionismo, trasformandola in scienza “sovversiva”, parte integrante di quel grande movimento di trasformazione in corso in quell’epoca.
Il lascito più rilevate e duraturo di quella stagione, di grande attualità anche per l’oggi, furono due iniziative dell’Onu: la Conferenza dell’Onu sull’ambiente umano di Stoccolma del 197227 e la Dichiarazione dell’Onu sul Nuovo ordine economico internazionale del 197428. Per la pace, inoltre, rilevantissima la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa ad Helsinki del 197529. In realtà, se quelle iniziative avessero avuto un seguito coerente e non fossero state invece boicottate dall’Occidente dominante a trazione u, oggi non ci troveremmo nell’attuale devastante crisi ecologica e sociale e sul precipizio della terza guerra mondiale.
Cinquant’anni di rivincita dell’Occidente, capitalista, imperialista, neocoloniale, razzista: dalla cancellazione dei comunismi e dell’ecologia umana, alla pericolosa illusione di aver finalmente costruito l’unum imperium globale e l’era dello “sviluppo sostenibile”
Abbiamo visto, a livello internazionale, il culmine della felice fase inaugurata nel 1945 nelle due grandi iniziative dell’Onu e in quella dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea. Mentre a livello nazionale e sul piano sociale potremmo ricordare la conquista, nel contratto dei lavoratori metalmeccanici del 1973, delle 150 ore retribuite per permettere agli operai di studiare e di acculturarsi, una straordinaria rivoluzione dolce dell’Altro Occidente.
Ma il 1973 fu anche l’anno della svolta, in cui il vecchio Occidente cominciò a rialzare la testa e a recuperare il terreno perduto30. La feroce guerra contro il Vietnam ingaggiata dagli Usa per contenere l’espansione del comunismo in Asia volgeva ormai in una cocente sconfitta, mentre con l’oil shock provocato dall’Opec, quadruplicando in poco tempo il prezzo del petrolio, si riaffacciava per l’Occidente lo spettro dei limiti delle risorse naturali e quindi la vitale competizione per il loro controllo. Henry Kissinger fu il grande stratega di quella riscossa del dominio dell’Occidente, che utilizzò una varietà di tasti e che in meno di un ventennio raggiunse una vittoria strategica, con la cancellazione del comunismo sovietico e quindi della gabbia ingombrante del bipolarismo. Richiamo per sommi capi le molteplici frecce dell’arco micidiale di Kissinger: il golpe in Cile del 1973, non solo per reprimere nel sangue l’esperienza democratica e socialista di Unidad popular, ma anche per impartire ad altri popoli la lezione che quell’esempio non si poteva seguire; in primis all’Italia con il più forre partito comunista e movimento operaio d’Europa, oggetto di trame eversive e golpiste neofasciste (nel 1969 la strage della Banca dell’Agricoltura a Milano, nel 1970 il tentato golpe Borghese, nel 1973 la strage alla questura di Milano, prodromo della strage di Brescia del 1974…) e della formazione di gruppi clandestini sedicenti “rossi” decisi alla lotta armata, infiltrati dai servizi e “tollerati” fino al compimento dell’obiettivo, l’uccisione di Aldo Moro, il leader democristiano che, contro il volere di Kissinger, intendeva aprire al governo con i comunisti; sul piano internazionale l’apertura alla Cina per isolare l’Unione sovietica che nel frattempo si era sciaguratamente impantanata in una logorante guerra in Afghanistan, costosissima, sia sul piano economico che dell’immagine; sul piano ambientale, alla crisi petrolifera si rispose con un maggior controllo sulle riserve mondiali espresso dalla “dottrina Carter” del 1980, secondo la quale il Golfo Persico sarebbe stato considerato area di pertinenza della “sicurezza nazionale” statunitense31; mentre a livello geopolitico l’America seppe trasformare un immediato svantaggio in un successo strategico, imponendo il dollaro, opportunamente sganciato dalla parità con l’oro già nell’agosto del 1971, come unica moneta di scambio nel commercio del petrolio; si ponevano così le basi per la destrutturazione del sistema economico mondiale, con la sua finanziarizzazione (i petrodollari ed il conseguente indebitamento del Sud del mondo strangolato dal Washington consensus), con l’uscita dal modello fordista che aveva fatto forti i sindacati e l’avvio del neoliberismo che venne per la prima volta sperimentato, non a caso, nel regime fascista di Pinochet in Cile; la globalizzazione neoliberista si impose come modello vincente, riducendo drasticamente le prerogative degli Stati nei settori decisivi dell’economia e dei servizi sociali affidati alla logica del mercato (non nel settore militare che al contrario venne sempre più rafforzato); il fascino del modello consumistico individualista venne opportunamente sfruttato dai nuovi media e da una cultura addomesticata, promettendo per questa via una nuova crescita della ricchezza che a cascata sarebbe sgocciolata nelle tasche di tutti; il potere delle multinazionali sempre più fuori controllo si sostituì ai poteri degli Stati, svuotando di senso la democrazia; i sindacati vennero ricondotti ad un ruolo sostanzialmente subalterno e i lavoratori privati di buona parte dei diritti; alla crisi energetica si rispose con il rilancio del nucleare (anche in Italia purtroppo); in generale la crisi ecologica venne archiviata facendo tutto il possibile perché la Conferenza di Stoccolma non avesse alcun seguito. Il ventennio di restaurazione del primato assoluto del vecchio Occidente si concluse con la spettacolare caduta del muro nel 1989 e l’implosione dell’Unione sovietica nel 1991 per eccesso di autoritarismo burocratico e con la celebrazione della Conferenza di Rio sull’ambiente del 1992 ideata e progettata direttamente da attori di primo piano del sistema economico internazionale: Pete Bright, responsabile per i problemi ambientali della Shell, multinazionale del petrolio, e Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero dell’Eternit32, ovvero del cemento-amianto ritenuto causa di uno dei più gravi disastri ambientali e sanitari globali. In quell’occasione per chiarire quale fosse il nuovo (o vecchio) Occidente che veniva sancito con l’ingannevole proposta dello “sviluppo sostenibile”33, intervenne George W. Bush con la celebre frase: “Lo stile di vita americano non è negoziabile”. E’ solo il caso di riproporre le parole dello storico Snyder, dedicate al nazismo, e che suonano tragicamente profetiche se guardiamo all’oggi: “Quando si confonde il tenore di vita con la vita, una società ricca può dichiarare guerra a quelle più povere in nome della sopravvivenza”34.
Per tornare all’Italia, infine, nel 1993 si ripropose lo stragismo, si aprì la strada all’ultraliberista Silvio Berlusconi e venne firmato l’accordo capestro, per i lavoratori, tra Governo, Confindustria e cgil-cisl-uil35, che sancì il definitivo annichilimento del movimento sindacale italiano, rappresentato plasticamente dal fatto che da allora il potere d’acquisto dei salari italiani è andato sempre riducendosi, caso unico in Occidente.
Si realizzò così il trionfo dell’hybris dell’Occidente, per la prima volta sul mondo globale, avverando il sogno di Rhodes dell’unum imperium angloamericano. Ovviamente con qualche adattamento: si confermava che il dominio sul mondo richiedesse l’indiscussa supremazia militare, garantita dalle centinaia di basi Usa e della Nato sparse a tutte le latitudini e longitudini e dal cosiddetto complesso industriale-militare; si garantiva che le spese militari si scaricassero in buona parte sul resto del mondo grazie alla supremazia della moneta, in questo caso il dollaro, e venissero compensate dal diritto ad estrarre risorse nei territori dipendenti dal centro del sistema; ovviamente vi era un cambio di leadership dall’Inghilterra agli Stati Uniti, determinato dalla storia, in particolare dalle due guerre mondiali; il dominio di questi ultimi ora godeva anche del supporto delle nuove tecnologie emergenti e di quelle che sarebbero diventate le multinazionali Big Tech; il razzismo non era e non è più così smaccato, come nell’Occidente storico, ma rimane in generale sottotraccia pronto ad essere rispolverato, sotto le vesti di un razzismo culturale, quando qualche popolo si dimostra riottoso alla dipendenza (popoli in balia di terroristi o di autocrazie, non democratici, vessatori dei diritti delle donne o Lgbtq, …) e quindi meritevole di essere “civilizzato” sul modello dell’Occidente. Modello che viene “naturalizzato”, con un passato che ritorna prepotentemente: è questa la vera ed unica natura dell’uomo, come ci spiegava Gumplowicz nell’altro secolo36 e come riecheggiava Margareth Thatcher, una campionessa di prim’ordine di quella restaurazione, nel 1980: “There is no alternative”, “Non c’è alternativa”; con il corollario altrettanto eloquente: “La società non esiste. Ci sono solo individui”. Pronta, l’intellettualità americana sancì nel 1992 con un libro che ebbe un’eco planetaria, La fine della storia37, il fondamento scientifico neodarwinista di questa definitiva riconciliazione tra evoluzione biologica dell’uomo e evoluzione sociale, approdata all’unica, in quanto consona alla natura dell’uomo, forma di convivenza sociale, dopo di che non vi può più essere storia: l’Occidente liberale e capitalista dominante sull’intero Pianeta, guidato dalla libera competizione del mercato e degli individui tra di loro, il migliore mondo umanamente possibile. Finalmente all’internazionalismo comunista annunciato dal famoso Manifesto, “Proletari di tutto il mondo unitevi”, si sostituisce il definitivo internazionalismo liberista, “Potenti di tutto il mondo unitevi” per affermare la vera dimensione consona alla natura umana, la libertà di arricchirsi senza limiti di sorta, la vera democrazia, ovvero il libero mercato inteso come “libera volpe in libero pollaio”.
Ma come sappiamo la competizione è truccata dall’iniqua distribuzione della ricchezza e delle risorse, rivendicata come legittima sulla base della forza militare e di un retropensiero razzista: se siamo ricchi e potenti è perché abbiamo una marcia in più e ce lo meritiamo. Torna l’hybris dell’Occidente, per un trentennio imbrigliato dal comunismo e ancor più dalla paura che questo potesse prevalere. Una paura mai sopita se per conquistare un Oscar negli Usa Roberto Benigni nel suo La vita è bella del 1997ha dovuto falsificare la storia sostituendo il carrarmato liberatore di Auschwitz dell’Armata rossa con quello americano, o se l’Unione europea nel 2019 ha licenziato un documento storicamente falso in cui si addossa la responsabilità dello scatenamento della seconda guerra mondiale all’Unione sovietica e si mettono sullo stesso piano nazismo e comunismo38.
Comunque il nuovo razzismo riaffiora, non solo nelle minoranze apertamente xenofobe e suprematiste, ma nell’Occidente liberale: quanto razzismo sottinteso vi era in Madeleine Albright, primo segretario di Stato donna del presidente democratico Bill Clinton, quando il 12 maggio del 1996 dichiarò che “ne valeva la pena” di far morire mezzo milione di bambini iracheni, pur di rovesciare l’allora Presidente Saddam Hussein e, aggiungiamo noi, tener fede alla dottrina Carter per cui il Golfo Persico era un’area di pertinenza della “sicurezza nazionale” Usa; quanto razzismo vi è nel legittimare e sostenere da parte dell’ultimo Presidente democratico Biden la rappresaglia indiscriminata e criminale contro la popolazione civile di Gaza da parte del governo di Israele, per cui 1.800 morti israeliani varrebbero come 40.000 morti palestinesi (saliti, secondo “The Lancet”, a 64.000 il 30 giugno 2025); quanto dell’antico razzismo antislavo vi è da parte degli Usa, e della Nato al seguito, nello spingere gli ucraini ad una guerra autodistruttiva, che non può essere vinta se non scatenando la terza guerra mondiale39.
In questa sede non è il caso di aggiungere argomentazioni su com’è andata a finire sia rispetto alla crisi sociale che alla crisi ecologica. Trent’anni buttati via, anzi di ulteriore grave peggioramento della convivenza umana sul Pianeta e con la terza guerra mondiale (a pezzi) alle porte.
La tecnica e l’ideologia dello sviluppo motori dell’occidentalizzazione del mondo unipolare dominato dagli Usa
Significativamente nello stesso anno del libro di Fukuyama, il 1992, Serge Latouche esce in Italia con quello che potremmo considerare uno dei suoi lavori più importanti, L’occidentalizzazione del mondo40, almeno per il sottoscritto che, in seguito a quella lettura, ha avuto poi l’opportunità di incontrare e frequentare l’autore. Ma il libro fu pubblicato in Francia nel 1989, l’anno del crollo del muro e appare quindi quasi profetico come una critica radicale anticipatrice della celebrazione dell’Occidente di Fukuyama. Anche per Latouche l’Occidente moderno si costituisce nel secolo XVI, quando la Spagna cattolica, realizzata la Reconquista, inaugura l’era degli esploratori/conquistatori che rifanno la carta del mondo, all’insegna delle tre M dell’imperialismo di quell’epoca, militari (i grandi condottieri), mercanti (Compagnia delle Indie) e missionari (Compagnia di Gesù). La tensione dell’Occidente a dominare l’intero mondo, secondo il nostro, non si attenua né quando finisce la cristianizzazione e la scienza laica si sostituisce alla religione, né dopo la decolonizzazione, ovvero quando finisce l’occupazione militare del resto del mondo, che alla vigilia della guerra dei trent’anni novecentesca era praticamente conclusa (ad eccezione di alcuni casi del tutto anomali, come l’Afghanistan unico in Asia a resistere all’imperialismo inglese e l’Etiopia che con la battaglia di Adua del 1896 inflisse una sconfitta bruciante alle ambizioni coloniali dell’Italia, diventando simbolo dei movimenti di liberazione dell’intera Africa).
Dunque, nella seconda parte del Novecento sarà con l’economia e con la tecnica che l’Occidente consolida il suo dominio sul mondo. L’attuale occidentalizzazione, quella post ‘89, dunque, avanzerebbe, non più con la violenza – previsione questa rivelatasi troppo ottimista, purtroppo -, ma grazie a forze simboliche, il cui dominio astratto sarebbe al tempo stesso più pericoloso e meno criticabile. Gli agenti di questo dominio sono la scienza, la tecnica e l’economia, e il fondamento sarebbe l’immaginario dei valori del progresso. Gli esiti di questo dominio sono inevitabilmente distruttivi della natura e quindi della condizione umana. E’ sulla base di questa critica radicale all’Occidente che Latouche rintraccia nell’economia informale di quello che in un testo successivo chiamerà Il pianeta dei naufraghi, quella socialità di autosostentamento all’insegna dell’antiutilitarismo, che l’avrebbe poi portato ad elaborare la sua teoria della decrescita come unica alternativa per la salvezza dell’umanità, incontrando, per questa via, i teorici più rigorosi della “primavera ecologica”.
Nella parte conclusiva Latouche annota come la storia, dal nostro punto di vista, diventa esclusivamente storia dell’Occidente, ovvero di una civiltà destinata a progredire irreversibilmente, dove anche i momentanei regressi avrebbero permesso successivi balzi in avanti. Curiosamente i recentissimi programmi di storia del nuovo governo esordiscono con un’affermazione perentoria che riecheggia questa concezione: “Solo l’Occidente conosce la Storia”41.
Liberarsi dall’occidentalizzazione distruttiva comporta, invece, il riconoscimento dell’esistenza di altre storie, di altre culture, nonché la rinuncia all’universalismo ipocrita che ritiene giusto solo ciò che collima con la nostra cultura e che si basa sulla difesa esclusiva, spesso imposizione, delle nostre ragioni. La sola vera universalità concepibile deve fondarsi, invece, sul consenso universale e sul dialogo autentico e rispettoso tra le varie culture, su un pluriversalismo culturale. Come si vede, si trattava di un messaggio in bottiglia per un mondo multipolare, forse quello che auspicabilmente vivranno le future generazioni
Il testo è ricchissimo e ne è consigliabile, in questo frangente, la rilettura. Ciò che va annotato è che anche Latouche, come Wallerstein e Arrighi, prevedeva un inevitabile declino dell’Occidente.
L’ Occidente all’ultima guerra dei trent’anni
In una previsione, forse, Latouche è stato troppo ottimista, laddove ipotizzava che l’Occidente non avesse più bisogno di violenza per affermare il proprio dominio, dopo la cancellazione dell’Unione sovietica. Questo sarebbe accaduto se avesse accettato con rassegnazione l’inevitabile declino. Ma così non è stato, come vedremo.
Sul finire del millennio, infatti, il movimento neoconservatore elaborava il Progetto per un nuovo secolo americano42nella convinzione che questa nuova e inedita situazione dell’unum imperium, mentre rendeva superfluo il ruolo dell’Onu, richiedesse un assoluto predominio del sistema militare Usa-Nato capace di imporre le proprie regole in particolare in quelle aree potenzialmente critiche per il mantenimento della nuova pax americana. Di conseguenza cambiava la missione storica della stessa Nato, da difensiva nell’area Nord-Atlantica, a offensiva in ogni parte del mondo, a partire dall’Europa, dove di fronte allo scioglimento del Patto di Varsavia, invece di sciogliersi a sua volta venendo meno il nemico, avviò un processo aggressivo di ampliamento, a partire dal 1997, quando Clinton ordina alla sua segretaria di Stato, Madeleine Albright, di avviare il processo di inclusione nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, compiuto nel 1999, quindi degli stati baltici, fino ad oggi, quando sono ben 23 i Paesi europei membri della Nato. Un ampliamento che oltre a rappresentare una sfida nei confronti della Russia svolgeva anche il ruolo di mantenere la nuova Europa allargata sotto la tutela degli Usa.
Il Progetto prevedeva anche che il predominio militare si accompagnasse con iniziative umanitarie destinate a quei Paesi particolarmente riottosi a sottostare al nuovo ordine: a tal fine venne potenziata, con una formidabile e rinnovata struttura, l’UsaAid, l’Agenzia per lo sviluppo internazionale43, creata nel 1961 come supporto alla “guerra fredda”, ma da anni andata in disuso: ora la nuova mission era quella di legittimare le varie guerre di aggressione, a partire da quella dell’Afghanistan di cui si dirà, con la motivazione di espandere la cultura americana edonistica e individualista, la democrazia intesa come libero mercato, i diritti individuali, l’emancipazione delle donne, distribuendo grandi risorse (nel 2023 qualcosa come 23 miliardi di dollari!) a mass-media e a ong umanitarie, ingaggiati all’uopo44. Come noto, il tutto fu partorito con il governo repubblicano di George W. Bush, ma ha poi ispirato in generale la politica estera anche dei democratici (come noto, il principale leader neocon, Dick Cheney ha dichiarato il proprio voto per la candidata democratica Harris nelle ultime elezioni Usa).
Anzi, coevo al Progetto per un nuovo secolo americanoè l’imponente lavoro di strategia geopolitica di Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del presidente democratico Carter dal 1977 al 1981, La grande scacchiera, ovvero, Il mondo e la politica nell’era della supremazia americana45. Un testo fondamentale per comprendere l’attuale caos geopolitico apparentemente fuori da ogni logica. Suggestiva la considerazione iniziale, per cui la “guerra fredda” non sarebbe stata uno scontro tra capitalismo e comunismo, ideologie reciprocamente utilizzate in chiave strumentale, ma tra America del Nord, potenza marittima, ed Eurasia, immensa potenza terrestre46, considerazione che chiarisce il senso dell’attuale nuova “guerra fredda”, o meglio “calda”.
La situazione del tutto inedita nella storia dell’umanità che si verifica nel 1991 con l’implosione dell’Unione sovietica è che per la prima volta con il predominio esclusivo degli Usa si realizza “un impero globale realmente mondiale”47 e con una novità rispetto agli imperi storici, da quello romano e cinese in poi: “il primato mondiale è detenuto da una potenza non euroasiatica, gli Usa”48. Cosicché, “per gli Usa il premio geopolitico più importante è rappresentato dall’Eurasia”49 e di conseguenza “il modo in cui gli Usa gestiranno l’Eurasia sarà determinante”50, perché in quell’area del mondo vi sono i tre quarti delle risorse, energetiche, minerarie, agricole del Pianeta51. Ecco perché l’Eurasia è la “grande scacchiera su cui si continua a giocare la partita per la supremazia globale”52. Dopodiché il nostro indica quali sono i punti geostrategici critici su questa scacchiera in cui devono muoversi con accortezza e determinazione gli Usa: il lato occidentale, ovvero l’Europa e segnatamente il destino della Russia; il lato meridionale, ovvero il Medio Oriente e segnatamente la collocazione della potenza regionale più problematica, l’Iran; infine il lato orientale, ovvero l’Estremo Oriente e segnatamente la Cina. Nessuna di queste potenze, secondo Brzezinski, ha la possibilità nel medio periodo di assurgere al rango di potenza mondiale, competitiva con il dominio americano. A meno che si profilasse “lo scenario più pericoloso…, una coalizione tra Cina, Russia e, forse, Iran, vale a dire una coalizione antiegemonica, unita non già dall’ideologia bensì da una somma di rancori”53.
Per sventare questa ipotesi il nostro si focalizza nel capitolo centrale sul buco nero, lasciato nel cuore dell’Eurasia dal crollo dell’Urss. Siamo nel periodo della presidenza Eltsin, di una Russia allo sbando sul piano economico e sociale con la scriteriata distruzione dell’industria statale e l’introduzione di un liberismo selvaggio in quel contesto particolarmente distruttivo. Una Russia che aspira a “un condominio mondiale” su un piano di parità con gli Usa, che lo stesso Brzezinski irride perché velleitario e comunque impensabile per l’America. La collocazione della Russia rimane in quella fase in sospeso, viene invitata alle riunioni della Nato e inserita nei G7, che per un periodo diventano G8. Ma la questione dirimente è la collocazione dell’Ucraina, come condizione irrinunciabile dal punto di vista americano per una cooptazione, subalterna, della Russia nella Nato e nella sfera occidentale, oltre ovviamente alla scelta per la democrazia, ovvero per il libero mercato e per l’abolizione dell’intervento dello Stato nell’economia. Una prospettiva da costruire proprio al fine di consolidare il dominio americano sull’Eurasia e quindi assicurare un futuro di pace sul Pianeta. In questo quadro occupa uno spazio enorme con un rimando ricorrente la centralità della questione dell’Ucraina, che deve essere del tutto indipendente e separata dalla Russia, inglobata nell’Ue e nella Nato entro il 2005-2010, allineata all’America, perché ciò impedirebbe alla Russia, per debolezza strutturale, di essere tentata a ridiventare una potenza ostile al dominio americano sull’Eurasia. Infatti, nella disgregazione dell’Urss, “la cosa più importante è stata la separazione dell’Ucraina, che conquistando l’indipendenza ha costretto i russi non solo a ripensare la natura della loro identità etnica e politica, ma ha rappresentato per la Russia una catastrofe geopolitica”54, ovvero la perdita di un partner ricco di risorse e dell’accesso la Mar Nero, e dunque al Mediterraneo. Per questo se la Russia intende procedere verso l’occidentalizzazione, deve pregiudizialmente accettare la definitiva separazione dell’Ucraina, cui l’America ha fin dall’inizio alacremente lavorato, il suo ingresso nell’Ue e nella Nato e quindi in Occidente. Una questione esistenziale per consolidare il dominio sull’Eurasia da parte degli Usa. Ovviamente queste per Brzezinski sono anche le condizioni per il mantenimento della pax americana, il cui monopolio e responsabilità ricadono esclusivamente sugli Stati Uniti, non certo sull’Onu, mai neppure citato in tutto il testo. Una pace, dunque, alle condizioni dell’America, che purtroppo di lì a poco si dimostrerà illusoria.
Forse il 1999 verrà considerato dagli storici l’anno d’inizio dell’ultima “guerra dei trent’anni” dell’Occidente, termine che nel frattempo ha usato curiosamente, poco tempo fa, uno studioso di geopolitica55, confermando anche per il XXI secolo lo schema di Wallerstein e Arrighi. In quell’anno il bombardamento della Nato su Belgrado, ovvero sulla capitale degli slavi del Sud, è innanzitutto un messaggio lanciato agli slavi del Nord, ovvero alla Russia, per annichilire le sue eventualità velleità a ridiventare potenza geopolitica importante.
Per scandire la successione delle tappe di questa guerra, tutt’ora in corso, vale la pena di citare un grande scienziato, Carlo Rovelli, che girando il mondo per il suo lavoro di ricerca ha acquisito uno sguardo libero e non distorto dal punto di vista occidentale:
Nel 1999, la Nato ha bombardato Belgrado per 78 giorni con l’obiettivo di smembrare la Serbia e dare vita a un Kosovo indipendente, oggi sede di una delle principali basi Nato nei Balcani.
Nel 2001, gli Stati Uniti [con altri Paesi Nato compresa l’Italia] hanno invaso l’Afghanistan, provocando 200.000 morti, un Paese devastato e nessun risultato politico.
Nel 2002, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato sui missili anti-balistici, nonostante le strenue obiezioni della Russia, aumentando drasticamente il rischio nucleare.
Nel 2003, gli Stati Uniti e gli alleati della Nato hanno rinnegato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite entrando in guerra in Iraq con un pretesto. L’Iraq è ora devastato, non è stata raggiunta una vera pacificazione politica e il parlamento eletto ha una maggioranza pro-Iran.
Nel 2004, tradendo gli impegni presi, gli Stati Uniti hanno proseguito con l’allargamento della
Nato, questa volta con l’ingresso degli Stati baltici, dei Paesi della regione del Mar Nero (Bulgaria e Romania) e dei Balcani.
Nel 2008, nonostante le pressanti e strenue obiezioni della Russia, gli Stati Uniti si sono impegnati ad allargare la Nato alla Georgia e all’Ucraina.
Nel 2011, gli Stati Uniti hanno incaricato la Cia di rovesciare il governo siriano di Bashar al-Assad, alleato della Russia. La Siria è devastata dalla guerra. Gli Stati Uniti non hanno ottenuto alcun vantaggio politico.
Nel 2011, la Nato ha bombardato la Libia per rovesciare Moammar Gheddafi. Il Paese, che era prospero, pacifico e stabile, è ora devastato, in una guerra civile ed in rovina.
Nel 2014, gli Stati Uniti hanno cospirato con le forze nazionaliste ucraine per rovesciare il presidente Viktor Yanukovych. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra.
Nel 2015, gli Stati Uniti hanno iniziato a piazzare i missili anti-balistici Aegis in Europa orientale (Romania), a breve distanza dalla Russia.
Nel 2016-2020, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’Ucraina nel minare l’accordo di Minsk II, nonostante il sostegno unanime da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Paese si trova ora in un’aspra guerra.
Nel 2021, la nuova amministrazione Biden ha rifiutato di negoziare con la Russia sulla questione dell’allargamento della Nato all’Ucraina, provocando l’invasione.
Nell’aprile 2022, gli Stati Uniti invitano l’Ucraina a ritirarsi dai negoziati di pace con la Russia. Il risultato è l’inutile prolungamento della guerra, con un aumento del territorio conquistato dalla Russia.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno cercato e cercano tuttora, senza riuscirci e fallendo costantemente, un mondo unipolare guidato da un’egemonia statunitense, in cui Russia, Cina, Iran e altre grandi nazioni devono essere sottomesse.
In questo ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti (questa è l’espressione comunemente usata negli Usa), gli Stati Uniti e solo gli Stati Uniti hanno diritto di determinare l’utilizzo del sistema bancario basato sul dollaro, il posizionamento delle basi militari all’estero, l’estensione dell’adesione alla Nato e il dispiegamento dei sistemi missilistici statunitensi, senza alcun veto o voce in capitolo da parte di altri Paesi.
Questa politica estera arrogante ha portato a guerre continue, paesi devastati, milioni di morti, una crescente rottura delle relazioni tra il blocco di nazioni guidato dagli Stati Uniti – una piccola minoranza nel pianeta e ora nemmeno più economicamente dominante – e il resto del mondo, un’impennata globale delle spese militari e ci sta lentamente portando verso la terza guerra mondiale.
Il saggio e decennale sforzo europeo di coinvolgere Russia e Cina in una collaborazione strategica economica e politica, sostenuto con entusiasmo dalla leadership russa e cinese, è stato infranto dalla feroce opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che ciò avrebbe potuto minare il dominio statunitense.
È questo il mondo che vogliamo?56
A questo elenco andrebbe aggiunta la sproporzionata reazione di Israele al sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, segnata da orribili crimini di guerra contro l’umanità nei confronti dei palestinesi e sostenuta, nonché alimentata, dagli Usa, nonostante Biden pubblicamente, e con cinica ipocrisia, si dichiarasse contrario, mentre riforniva il proprio alleato strategico di armi a iosa e lo sollecitava a provocare con incursioni distruttive l’Iran, probabilmente il vero obiettivo di questa guerra nella strategia dei Neocon, e poi le aggressioni al Libano, all’Iraq, alla Siria, e infine la guerra dei 12 giorni con il bombardamento Usa dei siti nucleari iraniani. La dottrina Carter, e del suo consigliere Brzezinski, per cui l’area del Golfo con il suo petrolio rimane di interesse strategico per la sicurezza nazionale statunitense, rimane ferma sia per Biden, sia, forse con una tattica diversa, per lo stesso Trump.
Andrebbero inoltre aggiunte alcune considerazioni sulla guerra più vergognosa condotta in questo contesto dall’Occidente, compresa l’Italia, ovvero l’aggressione all’Afghanistan, senza l’avvallo dell’Onu, con una guerra di venti anni, del tutto immotivata, con il pretesto, rivelatosi infondato, che i terroristi delle Torri gemelle fossero riconducibili ai Talebani, mentre erano tutti arabi, in gran parte provenienti dall’Arabia Saudita, come il loro leader Bin Laden, poi catturato e ucciso in Pakistan. Si è tentato, e si tenta ancora oggi perfino da sinistra, di giustificare quell’orribile guerra con la propaganda della liberazione delle donne afgane dal burka57, ma in realtà si trattò dell’ultima guerra coloniale dell’Occidente, forse perché quel territorio interessava come via di transito per infrastrutture energetiche, come indica esplicitamente Brzezinski nel testo citato58, o forse perché si volevano chiudere i conti con l’unico popolo e l’unico territorio del mondo estraneo all’Occidente che non si è mai piegato al colonialismo, che sconfisse le armate dell’impero britannico, che seppe umiliare lo stesso intervento sovietico negli anni Ottanta. La vicenda è finita con la sconfitta del più grande esercito del mondo da parte dei guerriglieri “scalzi” talebani, che evidentemente, a nostro dispetto, godevano e godono dell’appoggio di un popolo orgoglioso della propria inviolata indipendenza. La vergogna è tale che quella vicenda l’abbiamo rimossa, perché ci sembra incomprensibile che un popolo angariato e costretto ad una vita incivile dal fanatismo oscurantista talebano non abbia voluto cogliere l’opportunità emancipatrice da secoli di arretratezza offerta su un piatto d’argento dall’Occidente. Il percorso è ancora lungo per liberarci dal nostro etnocentrismo
L’Occidente, in affanno, sempre più incattivito con il resto del mondo
In effetti, da almeno un decennio, il sogno dell’unum imperium è entrato in crisi, probabilmente per un eccesso di liberismo59, con il primo segnale d’allarme, inascoltato, della crisi finanziaria del 200860 e ora con la violenta guerra dei dazi scatenata dagli Usa che sconfessa il totem della assoluta libertà dei mercati mettendo una pietra tombale sulla globalizzazione neoliberista.
Paradossalmente, oggi, vi sarebbero le condizioni strutturali per concordare un “nuovo ordine economico internazionale”61 fondato sulla cooperazione paritaria, sul rispetto delle sovranità nazionali e sulla solidarietà per affrontare le sfide epocali comuni, la crisi ecologica e l’eradicamento della fame e della povertà. Un’operazione forse possibile se l’Occidente non avesse buttato nel cestino quell’umanesimo dei “trent’anni gloriosi”.
Purtroppo sembra che l’Occidente e il G7, ovvero i presunti sette grandi, non intendano prendere atto della realtà, illudendosi di poter mantenere il proprio dominio sul mondo grazie alla superiorità del proprio “complesso industriale-militare”, che forse possono ancora vantare e che stanno mettendo pericolosamente alla prova in particolare nelle due guerre, Ucraina e Palestina, in corso in teatri geopolitici strategici, come abbiamo visto.
Ad illuminare questo fosco presente e a svelare la natura profonda del dominio neoliberista che si è tentato di imporre al mondo, mi è stato molto utile un libro che mi ha regalato il caro amico Giannozzo Pucci, l’editore storico di Don Milani, che ebbe l’ardire di pubblicare con la sua lef, purtroppo con scarso successo62. Il saggio è del 1998, dunque quando la restaurazione dell’Occidente si era apparentemente compiuta regnando sul mondo globalizzato, e si era alle soglie del nuovo millennio. L’autore è “esponente di spicco della filosofia ecologista contemporanea e fondatore dei Verdi tedeschi”. Il titolo è in apparenza spiazzante: Hitler precursore. Il XXI secolo inizia con Auschwitz? Siamo dunque nel periodo in cui “il marxismo, l’arma più affilata contro la saviezza della natura”63 hitleriana, è stato definitivamente sconfitto. Fa impressione leggere oggi l’ultimo capitolo, scritto 27 anni fa, Management planetario ovvero La globalizzazione della formula hitleriana. Esordisce richiamando i fattori della formula:
La prima condizione necessaria alla sua applicazione (o ri-applicazione) è un’analoga situazione di crisi […]. Questa esperienza della crisi deve portare alla consapevolezza che le risorse non bastano (e forse non basteranno mai più) per tutti. Le possibilità di affrontare la crisi con un programma […] di impronta umanistica vengono rigettate per principio come non realistiche. Il gruppo o la formazione dominante che si sente chiamata a preservare le conquiste della civiltà, si vede in virtù di ciò costretta a una selezione; e la selezione deve per forza di cose derogare al principio di inviolabilità della dignità umana. Ed ecco la nostra prima domanda: una “crisi hitleriana” nel XXI secolo è possibile o probabile? Sì64.
Così, “una volta riesumata la vecchia formula barbarica della superiorità per natura del proprio branco”, consapevoli che quello che la natura ci può dare non basta per l’irrinunciabile “stile di vita americano” se questo venisse esteso a tutti, in un mondo dell’economia e della finanza dominata dal neo-liberismo, quindi “svincolato non solo di qualsiasi responsabilità nei confronti della biosfera, ma anche da qualsiasi responsabilità umana, […] crogiolandosi attorno al sole delle sue rendite”, si compie “la fine della moratoria”65, dei “trent’anni gloriosi”. Così il nuovo “management planetario” è costretto ad elaborare “raffinati metodi di sorveglianza”, che alla consolidata “diffusa supremazia militare” associano le inedite possibilità offerte dalle nuove tecnologie66. Ma soprattutto, in omaggio al grande maestro Hitler e ad Auschwitz, esercita “raffinati metodi di selezione”: “Si seleziona con gli accordi gatt [nel 1994 rivisti a vantaggio delle multinazionali dall’Organizzazione mondiale del Commercio. Ndr] che sono la via più sicura, ma anche meno appariscente per annientare società e culture tradizionali […] Si seleziona ai confini dei paesi Shengen […]. Si seleziona nel mondo del lavoro, con un raggio d’azione e una meticolosità senza precedenti […]. Si seleziona anche ai piani alti dell’economia mondiale. I megasauri dei grandi marchi industriali e multinazionali si divorano l’un l’altro […] Per questi giochetti le regole della regina crudele [la natura secondo il neodarwinismo. Nda] sono entrate a pieno titolo nel novero delle leggi di mercato […]. Si seleziona ovviamente in ambito sanitario. I ricchi ne ricavano adeguati vantaggi. […] Si seleziona fra gli anziani, e in modi svariati. […] Si seleziona sulla base della capacità economica del paziente e della sua famiglia. […] E possibilità di selezione nuovissime e mozzafiato verranno dal perfezionamento del bricolage genetico”67. E qui anticipa la nuova eugenetica68, alimentata ancora dalle nuove scienze del vivente, la genetica molecolare, le biotecnologie, le neuroscienze, potenziate dall’Intelligenza artificiale. E’ questo il nuovo fascismo che incombe sull’umanità, il liberalfascismo69, secondo un’indovinata formula coniata da un caro amico.
Ovviamente tutto ciò porta inevitabilmente alla terza guerra mondiale, che per il capitalismo in crisi e senza briglie è un esito ineluttabile come ci ricorda Clara Mattei, una giovane economista, che, quasi assoluta rarità, perde ancora tempo a studiare Marx70.
La deriva di quella che fu la sinistra in Occidente
Ora poche parole vanno dedicate a come i perdenti in Occidente e segnatamente in Italia hanno reagito alla controrivoluzione “liberalfascista”.
Partiamo dai comunisti: in generale, salvo minoranze che via via si sono sempre più frammentate e disperse, si sono affrettati a buttare via, con l’acqua sporca (il comunismo burocratico e autoritario dell’Unione sovietica), il bambino (Marx e l’immenso patrimonio culturale umanistico che ne è derivato), sposando la globalizzazione neoliberista come prospettiva ineluttabile, ripiegando sul tema dei diritti civili e segnatamente Lgbtq, ovvero dell’individuo, il nuovo protagonista del momento. La prevenzione venne archiviata sostituita dalla cura affidata agli affari privati. E per la crisi ecologica si sposava in toto l’imbroglio dello “sviluppo sostenibile”, ovvero del greenwashing, accantonando nei fatti la spinosa questione. I cattolici democratici in generale si sono rapidamente adeguati coniando nuovi termini adatti allo spirito del tempo e del tutto inoffensivi rispetto all’ordoliberismo: inclusione71, invece di giustizia e uguaglianza; coesione, ovvero collaborazione interclassista, invece di conflitto sociale. Addirittura il sindacato cattolico, cisl, in perfetta sintonia con l’attuale governo di destra e iperliberista, mentre considera lo sciopero un’arma spuntata, ipotizza forme di cogestione delle imprese, ovviamente subalterne per i lavoratori72, riesumando il vecchio corporativismo della tradizione cattolica e quello più recente del fascismo e della Repubblica sociale, con la nota ipotesi fumosa e inconcludente di cogestione. In questo contesto si è coltivata una fede quasi messianica nella capacità trasformativa del cosiddetto terzo settore e della sussidiarietà, come alternative al declino dello stato. L’inclusione è risultata talmente inclusiva da essere condivisa anche dal governo di destra che si è sentito in dovere di abolire il diritto al reddito di cittadinanza sostituendolo appunto con l’assegno, più “selettivo”, di inclusione. Dopo che per trent’anni ne abbiamo sperimentato le conseguenze in termini di crescita della povertà e delle disuguaglianze mentre i ricchi diventavano sempre più ricchi è sacrosanto chiedere una tregua. Mi permetto un suggerimento, a questo proposito, ispirandomi al mio maestro Giorgio Nebbia: come lui a un certo punto chiese di abolire la parola ingannevole “sostenibile”73, oggi dovremmo chiedere di abolire le parole altrettanto ingannevoli “inclusione” e “coesione”.
Corollario di tutto ciò, generalmente condiviso, è diventato lo stigma di “sovranisti” e “populisti” nei confronti dei cittadini che cercavano di reagire allo strapotere del mercato e delle multinazionali chiedendo allo Stato di contenerlo, magari provvedendo ai loro bisogni. Risultato: metà della popolazione non partecipa più al voto e la democrazia è ormai in scacco. Negli Usa per contendersi la Presidenza occorre una dotazione di un miliardo di dollari, per cui la partita si riduce ai grandi potentati privati finanziari, economici e tecnologici, cosicché lo stesso Carlo Rovelli ipotizza che sia più consono definirla una plutocrazia, piuttosto che una democrazia74. Sulla stessa lunghezza d’onda, Franco Cardini parla di “una oligarchia delle élites”75, mentre Emmanuel Todd ritiene trattarsi di una “oligarchia liberale”, dove liberale sta per apertura solo ai diritti individuali, e che questa sia una delle cause della delegittimazione dell’Occidente che lo porterà alla “sconfitta”76.
Non c’è qui spazio per affrontare il tema del decadimento culturale che ne è derivato: consiglierei a questo proposito la lettura di un testo illuminante di un politologo, Olivier Roy, che insegna all’Istituto universitario europeo di Firenze, purtroppo per ora edito solo in francese, L’appiattimento del mondo. La crisi della cultura e l’impero delle norme77.
Due parole sui cattolici più radicali: sono ripiegati sui comportamenti individuali virtuosi come strategia lillipuziana per erodere dall’interno il mercato neoliberista con un mercato alternativo, equo, solidale ed ecologico, che dopo oltre trent’anni non ha dato grandi frutti. Si sottintendeva, comunque, l’accettazione come ineluttabile di un sostanziale ridimensionamento del ruolo dello stato e della politica nell’economia e nella società e del suo compito di progettare e programmare il futuro collettivo, nonché un definitivo scacco del movimento operaio organizzato.
Andrebbe infine considerata la sinistra alternativa, ecologista, transfemminista, assai minoritaria, che pure ha ripiegato in gran parte sulle cosiddette iniziative dal basso. Si tratta di una costellazione variegata di gruppi e gruppetti, anche volenterosi e mossi dalle migliori intenzioni, spesso minati da rivalità personalistiche, con un linguaggio piuttosto involuto ed elitario (esemplare la nuova teoria dell’intersezionalità), a volte interessati a ricostruire una cultura politica alta, di impronta umanistica, ecologista e anche marxista, ma in generale scarsamente influenti.
In questo quadro piuttosto desolante mi corre l’obbligo di segnalare l’opera monumentale, straordinaria e indispensabile, di Pier Paolo Poggio, già Direttore per una vita della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, purtroppo rimasta incompiuta: la messa in salvo dell’immenso patrimonio di quello che lui definisce “comunismo eretico e pensiero critico”, un lascito fondamentale da cui ripartire per tentare di ricostruire un’alternativa all’Occidente in declino78.
L’Occidente guerrafondaio e in declino di fronte al Sud globale emergente
Ora, se si pone mente agli esiti di questi 26 anni di guerre dell’Occidente, ovvero di Usa e Nato, per consolidare il “nuovo secolo americano” non si può non constatare che siano più i fallimenti che i successi. Lo studioso già citato, Emmanuel Todd, preconizza la sconfitta dell’Occidente79 analizzando in profondità proprio l’ultimo conflitto in corso in Ucraina che rappresenterebbe lo scontro “finale” tra America e Russia. Dopo quanto abbiamo visto a proposito de La grande scacchiera, non può sorprendere che qui si giochi la partita decisiva, per l’Occidente da un lato e, dall’altro, per la Russia e il “nuovo mondo” che le sta alle spalle, che ad esempio ha azzerato l’efficacia delle sanzioni europee. Emmanuel Todd, come già si è detto, non è uno sprovveduto, la sua autorevolezza l’ha conquistata prevedendo con un decennio di anticipo la fine dell’Urss. Lo sguardo è anche quello del sociologo e antropologo, oltre che dello storico. L’America va verso la sconfitta perché la società americana è ormai senz’anima e senza “religione”, dominata dal nichilismo e dall’individualismo, indotti dal mercato senza regole, che ha ucciso il senso di comunità (la famiglia mononucleare, rispetto alla forza della famiglia comunitaria russa), che ha voltato le spalle al protestantesimo, ovvero al prototipo dell’americano storico, wasp, bianco anglosassone protestante, malata di narcisismo che la rende cieca nei confronti delle diversità antropologiche e incapace di comprendere, ad esempio, che non può imporre al mondo la teoria gender e il politicamente corretto, e men che meno il proprio modello istituzionale, che non ha più nulla di democratico, dove il potere è gestito da oligarchie finanziarie, economiche e tecnologiche che operano al di fuori dello Sato e al di sopra degli Stati nazionali. Insomma la sconfitta dell’Occidente sarebbe da imputare a un declino culturale e morale in senso antropologico, senza ignorare, ovviamente, il declino economico, l’indebitamento e la debolezza del dollaro, la deindustrializzazione. Sulla stessa lunghezza d’onda Franco Cardini nel motivare la deriva dell’Occidente80. Dopo la caduta del muro gli Usa a capo dell’Impero hanno imposto il dominio dell’“oligarchia delle élites”, contraddicendo nei fatti le promesse di una democrazia universale. Così l’Occidente si è contraddetto clamorosamente rispetto al suo predicato universalismo, nel momento in cui non ha mai rinunciato nei fatti a quella “superiorità” che gli darebbe diritto a dominare il mondo. E così conclude Cardini il suo saggio:
Ma la convinzione – esplicita o strisciante che sia – di una “superiorità” occidentale è storicamente parlando decodificabile: ed è ciò che abbiamo cercato di fare nelle pagine precedenti. Ciò ha determinato un paradosso storico-antropologico: tra le culture, l’occidentale è la sola che non proponga sé stessa come centrale, normativa, unica, che non pretenda di situarsi al centro del mondo ma che anzi, con la sua stessa denominazione, scelga di identificarsi con una parte (l’Occidente, appunto). Né è un caso, infatti, che dimensioni culturalmente parlando tipiche dell’Occidente siano, appunto, il concetto di tolleranza e l’antropologia culturale intesa appunto come “scienza dell’Altro”. Solo che quella occidentale è anche l’unica cultura che, nella pratica, sia riuscita a imporre – con una forza che sarebbe roseo eufemismo definire solo “della ragione” – sé stessa alle altre in modo sistematico, insieme con l’idea di un senso della storia universale che coincidesse con una pluralità di dinamiche tutte però convergenti nell’accettazione, da parte delle altre culture, della nostra. Al fondo di questa contraddizione tra supposte o addirittura esibite intenzioni e realtà pratica sta probabilmente l’autentico dramma della schizofrenia di quella che definiamo civiltà occidentale: la sua Weltanschauung fondata sulla dignità e la libertà della persona umana, sulla tolleranza, sui diritti dell’uomo, sulla ricerca della felicità, e la sua prassi politica, economico-finanziaria e tecnologica radicata invece nei principii della produzione, del consumo, del profitto e in ultima analisi su una dura e illimitata Volontà di Potenza81.
Il problema è che i costi delle guerre per conservare il predomino sul mondo, pur propagandate in nome della espansione della democrazia, ovvero del ibero mercato, sono diventati insostenibili sul piano economico, cosicché i vantaggi che l’ossatura imperiale assicurava non sono più garantiti, il privilegio del dollaro come moneta mondiale viene da più parti contestato, i profitti della globalizzazione che penetrava con le multinazionali in mercati vergini si sono esauriti, diventando un boomerang per la stessa struttura industriale americana, indebolita dalla corsa ai vantaggi immediati delle delocalizzazioni. Il protezionismo, e il ritorno a forme di isolazionismo, in Trump, o meglio nei gruppi di potere che lo esprimono, nascono da questa realistica lettura dello stato dell’Unione, che alimenta nelle aree più interne degli Stati Uniti la sensazione di un declino incombente e forse addirittura inarrestabile82. Per contrastarlo, gli uomini del nuovo presidente rifiutano il paradigma nato dalla convergenza tra l’indirizzo neo-con dei Repubblicani vecchio stile e le credenze dei Democratici alfieri del cosmopolitismo a colpi di bombe intelligenti, a maggior ragione non essendo interessati ai valori liberali se non alla massima accumulazione di ricchezza per il proprio Paese.
In ogni caso, l’“altra parte del mondo” non sopporta più la “superiorità” dell’Occidente, a maggior ragione quando appare sempre più velleitaria e presuntuosa. E infatti un “altro sistema-mondo” si sta costruendo nelle antiche periferie degli imperi occidentali a Sud e a Est, sempre più insofferenti del predominio del Nord e dell’Ovest. Si tratta, com’è noto, dei Brics, che, nell’indifferenza della stampa occidentale, si sono riuniti nello scorso luglio a Rio de Janeiro, sotto la presidenza di Lula, per il XVII vertice cui hanno partecipato i membri fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con l’aggiunta di quelli che dal 2024 hanno dato vita alla nuova dizione “Brics Plus”, ovvero cinque nuovi Stati membri definiti formalmente a “pieno titolo”: Arabia Saudita. Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran e dal 2025 l’Indonesia. Inoltre il coordinamento ha accolto come “Stato partner” una serie di altri Paesi che ne avevano fatto richiesta: nella realtà euroasiatica, Bielorussia, Kazakhstan, Uzbekistan, Afghanistan; nel sud-est asiatico, Malesia, Tailandia, Vietnam (paesi membri della istituzione di coordinamento regionale Asean, come l’Indonesia); in Africa, Nigeria e Uganda; in America latina, Bolivia e Cuba. I Brics rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e il 37% del pil mondiale, ben più ormai dei cosiddetti 7 grandi che ne vantano solo il 29% con una popolazione ridotta al di sotto del 10%. A Rio de Janeiro hanno concordato una Dichiarazione in 126 punti di notevole interesse83, che a grandi linee si richiama ai contenuti di quella Dichiarazione dell’Onu sul Nuovo Ordine economico internazionale di oltre cinquant’anni fa, già citata, voluta dai Paesi in via di sviluppo, ma immediatamente accantonata dagli Usa di Kissinger.
Che si sono detti a Rio? Non vi è qui lo spazio per riprendere neppure per sommi capi quel documento, che forse però meriterebbe di essere letto con attenzione da chi ritiene che il mondo non sia riducibile all’Occidente. Vi si afferma, al punto 5, “il nostro impegno a riformare e migliorare la governance globale promuovendo un sistema internazionale e multilaterale più giusto, equo, agile, efficace, efficiente, reattivo, rappresentativo, legittimo, democratico e responsabile, in uno spirito di ampia consultazione, contributo congiunto e benefici condivisi”; a tal fine siriconosce espressamente“il ruolo centrale delle Nazioni Unite nel sistema internazionale”, istituzione della quale si richiede una riforma generale e organica. D’altro canto l’organizzazione di un nuovo sistema di governance globale ha l’obbiettivo di “garantire una maggiore e più significativa partecipazione e rappresentanza dei Paesi Emergenti e in Via di Sviluppo nonché dei Paesi Meno Sviluppati, in particolare di Africa, America Latina e Caraibi, nei processi e nelle strutture decisionali globali, rendendoli più in linea con le realtà contemporanee”. Questo obbiettivo di riforma si estende dall’Onu alle principali istituzioni internazionali, sia formali che informali, di cui si riconosce comunque il valore, purché democratizzate, come Organizzazione Mondiale del Commercio: “Sottolineiamo che l’Omc, al suo 30° anniversario, rimane l’unica istituzione multilaterale dotata del mandato, delle competenze, della portata universale e della capacità necessari per guidare le molteplici dimensioni delle discussioni sul commercio internazionale, inclusa la negoziazione di nuove regole commerciali” (punto n. 13). Così, in sottintesa alternativa al G7, si rilancia il coordinamento G20: “Sottolineiamo il ruolo chiave del G20 come principale forum globale per la cooperazione economica internazionale, che fornisce una piattaforma di dialogo tra le economie sviluppate ed emergenti su un piano di parità e reciprocamente vantaggioso, per la ricerca congiunta di soluzioni condivise alle sfide globali e la promozione di un mondo multipolare. Riconosciamo l’importanza del funzionamento continuo e produttivo del G20, basato sul consenso e focalizzato su azioni orientate ai risultati” (punto n. 64)
Come si vede i richiami all’Onu e alla sua necessaria riforma e reale democratizzazione sono continui, infatti vi ha partecipato anche il Segretario generale delle Nazioni unite, accolto con attenzione e interesse, mentre dall’Occidente, come è noto, negli ultimi tempi non ha ricevuto particolare sostegno, per usare un eufemismo. Intendiamoci, le società e le economie dei Brics non rappresentano un’alternativa auspicabile, non tanto perché non rispondono ai nostri canoni liberal-democratici, ma perché in gran parte sono anch’esse contaminate dal virus distruttivo della crescita e non mancano al loro interno problemi sociali irrisolti (il capitalismo rimane una brutta bestia!). L’esperimento cui stanno dando vita nella gestione delle relazioni internazionali, tuttavia, sembra meritevole di essere considerato: tra di loro vi sono profonde differenze culturali, religiose, politiche, di modelli istituzionali, vi sono anche problemi di frizioni geopolitiche (si pensi a Russia e Cina o India e Cina per i confini centroasiatici, alla stessa Cina e il Vietnam per il Mar Cinese Meridionale, all’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita…); tuttavia, a partire dal rispetto reciproco delle diversità e dall’impegno a trovare soluzioni pacifiche con negoziati ai conflitti, riescono a convivere e a cooperare paritariamente per i reciproci interessi in un quadro di multilateralismo. Un quadro di cooperazione pacifica che è comunque la precondizione perché l’umanità affronti seriamente la crisi ecologica e la crisi sociale.
A questo punto della nostra riflessione, potremmo concludere, sulla base degli insegnamenti dei grandi storici sopra evocati, che siamo all’ennesimo dislocamento geopolitico dell’egemonia dell’Occidente, che, come in passato, sconta le doglie del parto, ovvero un periodo conflittuale.
Purtroppo l’attuale transizione sembra alquanto più complessa, per cui ci troviamo di fronte a una prospettiva del tutto inedita: se nel precedente mezzo millennio della modernità, ovvero della storia dell’Occidente, la dislocazione geopolitica dell’egemonia sul mondo, seguita a traumi bellici sanguinosi, è comunque sempre avvenuta all’interno del perimetro culturale, politico e antropologico dell’Occidente, ora, invece, per la prima volta il confuso e smentito allarme lanciato un secolo fa da Spengler sull’imminente “tramonto dell’Occidente”84 non ci appare più un’improbabile visione suggestiva, ma una concreta e realistica possibilità. Dunque, quella che si prospetterebbe non sarebbe tanto la fine dell’egemonia Usa e del dollaro sull’Occidente, ma la fine dello stesso Occidente, inteso come civiltà deputata a dominare il sistema-mondo, un inedito sconvolgente da 500 anni a oggi. Come abbiamo visto più sopra, a prospettare esplicitamente questo esito traumatico non è più il confuso e visionario Spengler, ma lo storico, demografo, antropologo e sociologo neo-weberiano Emmanuel Todd, allievo dello storico inglese Peter Laslett a Cambridge, il quale si è conquistato una grande credibilità per aver predetto con diversi anni di anticipo il crollo dell’Urss85. Quindi, se ora titola il suo ultimo lavoro La sconfitta dell’Occidente, merita di essere preso sul serio.
E parlano oggi di fine dell’Occidente tanti commentatori e politici liberal, come si è citato in apertura, di fronte alle prime mosse spiazzanti di Trump, lo “stravagante scatenato” della Casa Bianca.
In effetti, se gli Stati Uniti si dimettessero dal compito di guida, non vi sono potenze globali in Occidente in grado di sostituirli (forse avrebbe potuto essere la vecchia Europa se mai fosse esistita come entità politica coesa, autonoma, sociale ed ecologica, non appendice del Nord Atlantico, ma aperta fino agli Urali, come la storia dovrebbe insegnare, e dialogante con il Sud globale). L’alternativa, a questo punto, potrebbe essere interpretata da “nuovi barbari” estranei ai valori dell’Occidente (“democrazia”, libero mercato, “società aperta”, diritti delle donne e Lgbtq …): i cinesi irregimentati da uno strano e orribile connubio autoritario e antidemocratico fatto di comunismo, capitalismo e tecnologia, i russi degli oligarchi e dell’autocrate Putin, gli iraniani preda del fondamentalismo islamico sciita e degli Ayatollah. Significativo al riguardo il lavoro pubblicato sulla fine del 2024 da Anne Applebaum, Autocrazie. Chi sono i dittatori che vogliono governare il mondo86, lanciato con grande impegno massmediatico in tutto l’Occidente. l’Applebaum è una giornalista e storica statunitense di origini polacche, già vincitrice del premio Pulitzer, moglie dell’attuale ministro degli esteri polacco, ultrabellicista, Radosław Sikorski, insignita del premio internazionale per la pace [!] degli editori tedeschi alla recente Fiera del libro di Francoforte, dove ha dichiarato: “Se c’è anche solo una piccola possibilità che la sconfitta militare possa aiutare a porre fine a questo orribile culto della violenza in Russia, proprio come una volta la sconfitta militare pose fine al culto della violenza in Germania, dovremmo coglierla. […] Oggi che sono qui a ritirare un premio per la pace, mi sembra il momento giusto per sottolineare che ‘voglio la pace’ non è sempre un argomento moralmente valido. È anche il momento giusto per dire che la lezione che insegna la storia tedesca non è che i tedeschi debbano essere pacifisti”87.
Con Applebaum, molti in Occidente vivono questa prospettiva come un salto nel buio, un vero incubo, addirittura con maggiore angoscia da parte di quell’opinione liberal e progressista che dentro il trionfo del neoliberismo ha potuto apprezzare quei “valori” e anche i non pochi confort, essendo in gran parte collocata nei piani alti della società. Si potrebbe spiegare così il paradosso di un partito democratico Usa e di partiti socialdemocratici e verdi europei che appaiono più determinati delle stesse destre nell’investire sulla nuova “guerra dei trent’anni”, che potrebbe essere anche l’ultima dell’Occidente. A questo proposito fa una certa impressione il voto del 2 aprile 2025 in sede Ue alla risoluzione per il riarmo europeo e per la preparazione alla terza guerra mondiale, dove hanno votato a favore, per l’Italia, i rappresentanti del partito Democratico, esclusi i due indipendenti, e i rappresentanti di Forza Italia, mentre hanno votato contro la Lega, il Movimento 5 stelle e Verdi-Sinistra, con Fratelli d’Italia astenuti88.
Ma le motivazioni della salvezza dei “valori occidentali” sono riservate alle anime belle, mentre i gruppi di comando dell’Occidente sanno bene che il vero nodo che sta giungendo al pettine è il controllo delle risorse materiali ed energetiche sempre più scarse per una popolazione che si avvicina alla soglia dei dieci miliardi, la vera crisi ecologica difficile da aggirare se l’impulso dell’Occidente ad avere sempre di più (pleonexia) insiste per un’economia di crescita senza fine. E tutto questo in un mondo che l’Occidente non ha più la forza di dominare.
Nonostante la Presidenza Trump, quali prospettive per il futuro
Trump, come in generale la destra, è impresentabile. La dichiarata rinuncia a prendersi carico della guida dell’Occidente e dei destini del mondo per occuparsi degli interessi materiali degli Usa non significa che il lupo abbia perso il vizio. Chi lo ha messo al potere ha semplicemente fatto dei conti: gli obiettivi del “nuovo secolo americano” non sono perseguibili, sono maggiori i costi dei ricavi, sono economicamente insostenibili. La dimostrazione è la guerra in Ucraina: qui l’America è riuscita a mettere in scacco l’Europa, che con la collaborazione con l’Est avrebbe potuto divenire un concorrente pericoloso, ma non a piegare la Russia e a riportarla alla condizione subalterna della presidenza di Eltsin, che avrebbe indebolito la grande alleata Cina, la più temibile antagonista degli Usa, mentre invece ha rafforzato proprio la prospettiva ritenuta da Brzezinski “più pericolosa, ovvero un’alleanza strategica tra Russia, Cina e, forse, Iran”.
La figura alquanto macchiettistica di Trump non deve trarre in inganno. Dietro vi è il tentativo di costruire un’alternativa alla visione geopolitica liberale dei Neocon e di Brzezinski: si rinuncia alla “crociata” dei valori liberali da affermare universalmente per rapportarsi, invece, più prosaicamente al realismo degli equilibri di potere e ai nazionalismi esistenti sullo scenario mondiale. Uno dei principali esponenti di questa scuola di geopolitica “realista”, John Mearsheimer, ha pubblicato nel 2018 un testo dal titolo illuminante, La grande illusione89, che, forse intenzionalmente, fa il verso a La grande scacchiera di Brzezinski. La tesi di fondo si può così riassumere: la geopolitica liberale è basata su una strategia ambiziosa che dovrebbe permettere a uno Stato, segnatamente agli Usa, di trasformare il maggior numero di Paesi, possibilmente tutti, in democrazie liberali ricalcate sul proprio modello, promuovendo al contempo un’economia di libero mercato internazionalmente aperta, secondo un’ideologia essenzialmente individualistica, basata sulla centralità dei diritti inviolabili. Si tratterebbe, in sostanza di realizzare la narrazione più sopra evocata della “fine della storia”, conla costruzione di un’umanità globalmente soddisfatta e pacificata, perché ognuno godrebbe dell’unanime rispetto dei diritti individuali e della possibilità di affermarsi nel libero agone del mercato, grazie all’ombrello protettivo dell’unica potenza egemone sull’intero Pianeta.
Ma questa prospettiva universalistica, secondo Mearsheimer, sottovaluta, fino quasi ad ignorarla, la natura sociale degli esseri umani che li porta ad aggregarsi in culture e nazioni che esprimono concetti di “buona vita” profondamente diversi, non riducibili ai soli diritti individuali confezionati per persone intese come pure entità atomistiche. Ed ecco che si trova, concretamente, di fronte a due ostacoli: il nazionalismo, inteso dall’autore senza alcuna accezione negativa, che privilegia l’autodeterminazione della propria idea di “buona vita” a discapito dei diritti universali individuali; il realismo che tiene conto delle logiche dell’equilibrio di potere. Ma soprattutto la visione liberale per potersi affermare senza eccessivi conflitti presuppone che sul campo vi sia un’unica potenza egemone, situazione che sembra sempre più venir meno.
La critica teorica che lo fa concludere con la formula del titolo, ovvero che si è trattato di una “grande illusione”, è poi supportata lungo la trattazione dagli esempi concreti, dal fatto che dal 1989, quando questa visione liberale universalistica ha cominciato a prendere piede nelle leadership nordamericane, gli Sati Uniti hanno combattuto guerre due anni su tre e su sette fronti, diventando nei fatti una formula per l’instabilità e il conflitto permanente, cosicché “il liberalismo in politica estera si è rivelato fonte di guai”, come titola un capitolo del libro90. Gli esempi che porta non li riproponiamo, rinviando all’elenco di Rovelli visto più sopra. Meritano, però, di essere citate le pagine dedicate alla crisi ucraina, sia per la fonte certamente non sospetta, sia perché pubblicate prima dello scoppio della guerra. Mentre scriviamo potrebbe sembrare prioritario un approfondimento sull’altra guerra, orribile, quella di Israele che giustamente inquieta l’opinione pubblica per ii devastanti e ingiustificabili crimini contro la popolazione civile di Gaza, sterminata a decine di migliaia con il pretesto di eliminare alcune centinaia di terroristi di Hamas. In Ucraina la guerra si gioca fondamentalmente tra eserciti regolari, ma è in questo teatro che si sta rischiando lo scatenamento di una terza guerra mondiale con l’impiego dell’arma nucleare.
L’autore, quindi, all’Ucraina dedica grande spazio perché “la crisi che continua a travagliare l’Ucraina è un caso emblematico. Secondo la logica che prevale in Occidente questo problema è in gran parte conseguenza dell’aggressione russa. […] Questa ricostruzione è falsa. I veri responsabili della crisi sono gli Stati Uniti e i loro alleati europei. Alla base di tutto c’è l’espansione della Nato, l’elemento centrale di una strategia più vasta intesa a fare uscire tutta l’Europa orientale, inclusa l’Ucraina, dall’orbita della Russia per integrarla nell’Occidente”91. E a proposito del colpo di Stato che fece deflagrare la crisi nel 2014, con l’allontanamento del presidente legittimamente eletto, Viktor Janukovyč, le responsabilità dirette degli Usa sono documentate:
Il nuovo governo di Kiev era totalmente filo-occidentale e anti-russo. E quattro suoi membri si potevano definire legittimamente neofascisti. Ma soprattutto, dietro il colpo di stato c’era il governo degli Stati Uniti, anche se il livello effettivo del suo coinvolgimento è ancora ignoto. Victoria Nuland, vicesegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, e il senatore John McCain (repubblicano dell’Arizona), per esempio, hanno partecipato a manifestazioni antigovernative, mentre dopo il colpo di stato l’ambasciatore degli Stati Uniti ha parlato di “una giornata da consegnare ai libri di storia”. La trascrizione di una conversazione telefonica trapelata successivamente ha rivelato che la Nuland invocava un cambiamento di regime e voleva il filo-occidentale Arsenij Jacenjuk nel ruolo di primo ministro: il suo desiderio è stato esaudito. Non c’è dunque da meravigliarsi se i russi di tutte le fedi politiche pensano che provocatori occidentali, in particolare la CIA, abbiano contribuito a rovesciare Janukovyč92.
A quel punto “per Putin era arrivato il momento per agire” in Ucraina, avendo “i mezzi per metterla in ginocchio all’infinito, se non abbandonerà i suoi piani di alleanza organica con l’Occidente […].
Chiunque abbia un minimo di familiarità con la geopolitica avrebbe dovuto prevedere tutto questo. L’Occidente si stava infiltrando in Russia e ne minacciava gli interessi strategici. L’Ucraina, una pianura sterminata che avevano attraversato la Francia napoleonica, la Germania imperiale e la Germania nazista per attaccare la Russia vera e propria, è un cuscinetto strategico di enorme importanza per Mosca. Nessun leader russo permetterebbe all’alleanza militare di un ex nemico di entrare in Ucraina. E nessun leader russo resterebbe a guardare mentre l’Occidente cercherebbe di installare a Kiev un governo favorevole a quell’alleanza. Washington non apprezza di certo la posizione di Mosca, ma dovrebbe capire la logica che ci sta dietro. Le grandi potenze sono sempre sensibili alle minacce che si creano in prossimità del loro territorio. In base alla dottrina Monroe, gli Stati Uniti, per esempio, non tollerano che altre grandi potenze ostili schierino forze militari nell’emisfero occidentale, tantomeno ai loro confini. Immaginate quale sarebbe la reazione di Washington se la Cina costruisse una grande alleanza e tentasse di installare dei governi “amici” in Canada e in Messico93.
A questo proposito, un decano della politica estera Usa, che abbiamo incontrato nel secondo dopoguerra, “il leggendario diplomatico e pensatore strategico americano George Kennan disse in un’intervista rilasciata nel 1998, poco dopo l’approvazione da parte del Senato della prima fase del processo di espansione [della Nato]: ‘Penso che i russi reagiranno gradualmente molto male e che questa mossa inciderà sulle loro politiche. Credo che sia un tragico errore. Non c’era nessuna ragione per farla. Nessuno stava minacciando nessun altro’”94
E conclude Mearsheimer
In estrema sintesi, la Russia e l’Occidente hanno recitato due copioni diversi. Putin e i suoi compatrioti hanno pensato e agito da realisti, mentre i leader occidentali hanno seguito idee liberali da manuale in tema di politica estera. Il risultato è che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno provocato inconsapevolmente una grave crisi che non accenna minimamente a risolversi, soprattutto perché le democrazie liberali trovano così difficile intrattenere rapporti diplomatici costruttivi con Stati autoritari95.
Intendiamoci, il realismo invocato da Mearsheimer non esclude una politica di potenza degli Usa e neppure il ricorso alla guerra, tutt’altro. Il realismo coerentemente esalta innanzitutto il nazionalismo americano, e quindi la tutela degli interessi degli Usa. Ma ritiene che riconoscere i nazionalismi e gli equilibri di potere, rinunciando all’irrealistica crociata liberale, ovvero “la grande illusione”, possa aprire una “via di moderazione” nelle relazioni internazionali. Lo stesso autore, in questo senso, accenna al primo Trump, il quale “non potrà far altro che adottare una strategia complessiva basata sul realismo, anche a costo di affrontare una resistenza considerevole sul fronte interno”.96
Tornando al nostro apparentemente squinternato secondo Trump, è chiaro che gli Usa non rinunciano al loro tradizionale imperialismo, al razzismo, al capitalismo neocoloniale. Semmai non si preoccupano più di occultare l’immutata e secolare hibris propria dell’Occidente dietro il paravento liberal dell’open society, paravento necessario finché si voleva mantenere l’egemonia sul mondo e si voleva legittimarla con la superiorità della civiltà liberale e democratica, che tanto ha affascinato anche la sinistra. Sembrerebbero dunque ripiegare sulla vecchia dottrina Monroe, su un dominio territoriale circoscritto a quelle aree ritenute strategiche per gli affari e la ricchezza degli Stati uniti: il Golfo, Canada e Panama, la Groenlandia e l’Artico, il Pacifico, alcune aree dell’Africa… Il neoprotezionismo, che mette in soffitta il liberismo globalista dominante per oltre un trentennio, dovrebbe permettere agli Usa di ricostruire una solida struttura produttiva industriale all’interno dei propri confini, ridurre il deficit nelle bilancia commerciale e, in prospettiva, ridimensionare l’enorme debito con il resto del mondo che ha raggiunto la cifra record di 23mila miliardi di dollari, che potrebbe diventare un incubo, qualora il dollaro perdesse la sua centralità come moneta per gli scambi internazionali.
Nel contempo gli Usa riconoscerebbero altre potenze e altre zone di influenza nel mondo con cui trattare a muso duro, sia per riequilibrare la bilancia commerciale e la voragine del debito, sia per spartirsi le risorse del Pianeta (qualcuno ha recentemente evocato una nuova Yalta). E Trump vorrebbe che a quel tavolo siano ancora gli Usa a dare le carte, cosa non scontata, come non è scontato che tutto il progetto di ristrutturazione di un nuovo ordine globale abbia successo (l’esito dell’attuale braccio di ferro in corso direttamente con la Cina sarà probabilmente decisivo). Di sicuro, in questo contesto, l’Europa non interessa più, purché, rispetto alle sue ambizioni, sia ridimensionata a periferia sostanzialmente ininfluente e subalterna, come di fatto si ritrova dopo la disgraziata avventura ucraina, una sorta di appendice insignificante degli Usa.
Certo, per l’Europa e per i liberal in generale che si erano affidati ciecamente alla guida statunitense dell’Occidente, questo nuovo scenario è semplicemente angosciante.
Ma per chi in qualche modo non si è mai riconosciuto nell’Occidente del dominio imperialista sul mondo, come è stato storicamente, potrebbe essere anche un’opportunità. A maggior ragione se questa prospettiva ci allontanasse dalla terza guerra mondiale, esito non scontato ma decisivo per la riapertura di tutte le auspicabili agende, da quella sociale a quella ecologica.
A questo punto si possono solo indicare per titoli alcuni possibili capitoli del nuovo mondo, privato dal dominio dell’Occidente.
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Contrastare il RearmEurope rimane comunque prioritario ed è la condizione perché si possa aprire una nuova agenda. L’approvazione della Risoluzione del parlamento europeo del 2 aprile97, se trovasse coerente attuazione, porterebbe l’Ue allo scatenamento della terza guerra mondiale. Se ne raccomanda la lettura completa del testo, compresi i “considerato” iniziali; basti qui citare che si intende boicottare il tentativo di trattativa avviato da Trump, per continuare la guerra fino alla vittoria dell’Ucraina e alla sconfitta della Russia, per aprire poi il fronte contro la Cina, l’Iran… Insomma l’Ue si propone l’obiettivo velleitario di svolgere il ruolo di dominio del mondo intero e di guida dell’Occidente, abbandonato dagli Usa del nuovo corso di Trump.
Vanno citate testualmente alcune chicche per capire il tenore del documento:
Il neo maccartismo in versione europea all’item 143. “sostiene l’impegno a istituire uno ‘scudo europeo per la democrazia’ e ribadisce il proprio invito agli Stati membri, alla Commissione e al seae a prendere in considerazione l’istituzione di una struttura indipendente e dotata di risorse adeguate incaricata di individuare, analizzare e documentare le minacce di fimi (Foreign Information Manipulation and Interference)contro l’Ue nel suo complesso, di individuare, rintracciare e richiedere l’eliminazione dei contenuti online ingannevoli”.
La militarizzazione paradossale dei “valori europei” all’item 167. “sottolinea che le politiche di difesa dell’Ue dovrebbero riflettere i principi dell’uguaglianza di genere e della diversità, promuovendo ambienti militari inclusivi che riflettano i valori e la diversità della società europea”.
Il ritorno a “libro e moschetto, fascista perfetto”, sempre allo stesso item 167: “chiede, inoltre, di mettere a punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell’Ue, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili”.
La reazione immediata alla lettura è che si tratti di un vaneggiamento del tutto strampalato, di un delirio disperato di chi si sente precipitare nel vuoto. Ma vi potrebbe essere anche un’altra ipotesi più suggestiva e terribilmente pericolosa. Questo apparente rigurgito di autonomia dell’Ue dagli Usa è perlomeno sospetto, se si pone mente agli ultimi 80 anni, di fedele acquiescenza agli impulsi provenienti dall’America. Del resto l’altra parte del potere reale americano, sconfitta formalmente dalle recenti elezioni, non è per questo scomparsa: il Deep state, rappresentato dai democratici e dai Neocon, continua ad operare, come permane la sudditanza nei loro confronti dei piccoli leaders dell’attuale Europa, forse, come sostiene Todd, in generale sotto ricatto per i loro affari indicibili con l’altra sponda dell’Atlantico98. In questo quadro, allora, la Risoluzione Ue diventa più credibile e più preoccupante: l’ultimo colpo di coda dell’attuale “guerra dei trent’anni”, iniziata nel 1999 con il bombardamento di Belgrado, nel disperato tentativo dell’Occidente di mantenere il dominio sul mondo, in cui l’Europa agirebbe per procura e in supplenza da parte del Deep state d’oltre Atlantico, momentaneamente in difficoltà99. Se così fosse, tutte le energie degli “uomini di buona volontà” vanno nell’immediato concentrate per ostacolare questo disegno.
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Aprirsi alla realtà dei Brics, studiarla e dialogare con essa: vale per noi tutti, ma soprattutto per un’Europa che sappia emanciparsi dalla sudditanza agli Usa e costruire un futuro alternativo al riarmo e al conflitto perenne con la Russia, che la porterebbe al dissolvimento. E’ quello che consigliano due intelligenti politologi americani.
Stephen Walt: “…i leader europei dovrebbero smettere di chiedersi cosa devono fare per far felice lo Zio Sam e iniziare a chiedersi cosa devono fare per proteggersi. Se fossi in loro, comincerei a invitare un maggior numero di delegazioni commerciali dalla Cina e inizierei a sviluppare alternative al sistema Swift di pagamenti finanziari internazionali. Le università europee dovrebbero aumentare le collaborazioni di ricerca con le istituzioni cinesi, un passo che diventerà ancora più interessante se Trump e Musk continueranno a danneggiare le istituzioni accademiche negli Stati Uniti. […] Inviare l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri Kaja Kallas al prossimo vertice dei Brics e prendere in considerazione la possibilità di chiedere l’adesione. E così via”100.
Kishore Mahubani: “La decisione del presidente americano Donald Trump di non consultare né preavvisare i leader europei prima di parlare con il presidente russo Vladimir Putin dimostra quanto l’Europa sia diventata irrilevante, anche quando sono in gioco i suoi interessi geopolitici. L’unico modo per ripristinare la posizione geopolitica dell’Europa è considerare tre opzioni impensabili. In primo luogo, l’Europa dovrebbe annunciare la sua volontà di uscire dalla Nato […] l’insistenza degli europei nel rimanere nella Nato dopo le provocatorie azioni di Trump dà l’impressione al mondo che stiano leccando gli stivali che li stanno prendendo a calci in faccia. […] Se Metternich o Talleyrand (o Charles de Gaulle) fossero vivi oggi, raccomanderebbero l’impensabile opzione 2: elaborare un nuovo grande accordo strategico con la Russia, in cui ciascuna parte accolga gli interessi fondamentali dell’altra. […] Qual è il principale rivale strategico della Russia, l’Ue o la Cina? Con chi ha il confine più lungo? E con chi il suo potere relativo è cambiato così tanto? […]. I russi sarebbero probabilmente felici di trovare un compromesso equo con l’Ue, rispettando gli attuali confini tra Russia e Ue e un compromesso realistico sull’Ucraina che non minacci gli interessi fondamentali di nessuna delle due parti. […] E questo porta all’impensabile opzione 3: elaborare un nuovo patto strategico con la Cina. […] Quali pressioni geopolitiche hanno causato la flessione delle relazioni Ue-Cina? Gli europei hanno creduto stupidamente che una fedeltà servile alle priorità geopolitiche americane avrebbe portato a ricchi dividendi geopolitici per loro. Invece, sono stati presi a calci in faccia”101.
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Sostenere la proposta a suo tempo elaborata dall’economista Emiliano Brancaccio102 per aprire un tavolo internazionale di trattativa per giungere possibilmente a un nuovo accordo (una sorta di Bretton Woods, adattato al nuovo multipolarismo e quindi esteso a tutti gli attori del mondo attuale, che prefiguri un’uscita dolce dall’attuale centralità del dollaro) sui temi scottanti dei rapporti finanziari, economici e commerciali tra i diversi attori, in alternativa alla “guerra dei dazi” e al neoliberismo globalista senza regole, di fatto superato dalla storia e dalla crisi del “nuovo secolo americano”, e che aveva creato enormi squilibri finanziari in particolare tra gli Usa e il resto del mondo. In questa prospettiva, si tratta di costruire una deglobalizzazione contrattata e un superamento concordato dell’attuale liberismo sregolato, che rimetta al centro l’autonomia degli Stati e la loro sovranità sui processi economici non più orientati al solo profitto, ma innanzitutto ai bisogni umani e alla tutela dell’ambiente, nel quadro di un riequilibrio dell’uso delle risorse tra i paesi ipersviluppati e quelli più poveri. In questo senso appare di grande interesse il lavoro di ricerca e di elaborazione del sociologo tedesco Wolfgang Streek103, direttore emerito dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società a Colonia, che recupera in particolare il saggio di Keynes su Autosufficienza economica104 del 1933 e il testo classico di Karl Polany105, per immaginare l’uscita dalla globalizzazione distruttiva degli ultimi quarant’anni, uscita imposta comunque dal neo-protezionismo americano: la deglobalizzazione dovrebbe avvenire da parte di nazioni capaci di valorizzare innanzitutto le proprie risorse (la lezione “autarchica” di Keynes), limitandosi a uno scambio tra uguali e con spirito cooperativo con le altre nazioni per quanto è necessario, e dove la politica, interprete dei bisogni umani e ambientali, comanda sull’economia ridando senso alla democrazia (la lezione politica di Polany).
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Disintossicarsi dall’unipolarismo per andare verso un multipolarismo che significa anche superamento dell’universalismo targato Occidente verso un pluriversalismo delle culture, recuperando la vecchia lezione dell’antropologia culturale, gli ultimi capitoli de L’occidentalizzazione del mondo citato e tutta l’elaborazione sviluppata in passato su questi temi dal Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali (Mauss) francese. A questo proposito, solo al fine di esplicitare la complessità del tema, si potrebbe citare in particolare, tra i tanti, un saggio del filosofo francese Dufour, che nel 2014 partecipò a questo dibattito nell’ambito del Mauss106. Nel suo saggio circoscrive l’universalità a tre ambiti: quello biologico, nel senso che tutti gli umani sono biologicamente uguali e quindi appartenenti ad una sola razza; quello del logos scientifico, per statuto linguaggio universale; quello morale, individuato in estrema sintesi in quella che lui indica come “regola d’oro”, comune a tutte le religioni e culture, ovvero “non fare all’altro ciò che tu non vorresti che lui faccia a te”. Mentre per i miti, ovvero per le culture, deve valere il pluriversalismo e quindi non vi è nessuna cultura che può universalizzarsi e imporsi alle altre. E su questo piano abbiamo tutti molto lavoro da fare per liberarci dall’eurocentrismo e dall’etnocentrismo.
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Ridurre il rischio nucleare. Siamo sull’orlo della terza guerra mondiale, una crisi in cui è tornata ad essere evocata la bomba, crisi terribilmente pericolosa come fu quella di Cuba di oltre 60 anni fa. Il nostro grande premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi, che in quanto scienziato, come Carlo Rovelli, da sempre gira per il mondo e ha imparato a disintossicarsi dalla malattia dell’Occidente, vede in questo frangente e nell’inevitabile prospettiva multipolare, l’opportunità perché l’umanità riprenda in mano il suo destino riducendo il più possibile la minaccia nucleare:
Per preparare la pace non basta dichiararsi a favore dalla pace; bisogna che gli Stati creino una rete di relazioni, di trattati che assicurino la pace: è necessario smussare le tensioni, eliminare le possibili cause di conflitto. Servono sia una volontà politica sia una capacità di inventiva per capire cosa fare. Bisogna incominciare a riflettere, a studiare cosa è possibile, a fare piani per il futuro, creare un consenso verso azioni di pace. […] Ma il problema più importante è evitare una guerra nucleare. Esiste un’ampia rete di trattati, costruita a partire dalla crisi di Cuba in poi. Alcuni di questi fondamentali trattati restano solidissimi, come il trattato ctbt in cui si vietano tutti i test di nuovi armi atomiche. Altri funzionano abbastanza bene, come il trattato di non proliferazione. Sfortunatamente altri trattati sono stati denunciati e molti degli accordi che avevano permesso la decrescita delle armi nucleari non ci sono più. […] Un trattato fondamentale riguardava le forze nucleari a medio raggio (inf) firmato nel 1987 tra Unione Sovietica e Usa. […] Il trattato ha incominciato a scricchiolare verso il 2007 con le prime accuse di violazioni ed è collassato nel 2018 col ritiro degli Stati Uniti a causa delle presunte violazioni russe del trattato e dell’istallazione di missili con un raggio di 4000 km da parte della Cina. Uno dei punti deboli del trattato è proprio il suo essere un accordo fatto in un mondo bipolare e quindi poco utile in un mondo multipolare. È necessario riprendere le trattative coinvolgendo tutti i Paesi con capacità nucleare e anche costruire missili di questa portata. […] Con altri premi Nobel abbiamo firmato un paio di anni fa, un appello ai governi che possiedono armi nucleari e ai loro alleati di dichiarare pubblicamente e con urgenza di aderire alla politica di non primo uso delle armi nucleari. Sarebbe un primo passo verso un trattato globale che impegni in questa direzione tutti gli stati nucleari. […] Proprio adesso è fondamentale riprendere un negoziato globale in un mondo multipolare, Cina ed Europa comprese, sui tanti punti di contrasto, includendo non solo l’impegno a non usare per primi le armi nucleari, ma anche la loro riduzione e la costruzione di zone denuclearizzate. Io spero che i leader mondiali dimostrino adesso un poco di quella saggezza mostrata dai loro predecessori di sessanta anni fa, Kennedy e Krusciov”107.
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E poi ci sono tutte le altre questioni aperte, quelle di casa nostra, che una politica ridiventata protagonista dovrebbe affrontare in un contesto non più minacciato dalla terza guerra mondiale: quella sociale, quella ecologica, quella della rivitalizzazione della democrazia e del ruolo dello Stato nell’economia, quella delle istituzioni educative e culturali, quella dei migranti, ecc. ecc.
1 Com’è noto, hanno barattato qualche briciola per far risuscitare un po’ di green deal con il voto a favore alla richiesta di Merz di togliere il limite all’indebitamento per un programma di colossale riarmo di centinaia di miliardi di euro, un voto, peraltro, sospetto di anticostituzionalità perché affidato ad un parlamento scaduto e ad una maggioranza che ora non c’è più nel nuovo parlamento.
2 E. Mauro, La sinistra, il riarmo e la pace, in “La Repubblica”, 9 marzo 2025.
3 E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991. L’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1995.
4 S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati-Boringhieri, Torino 1992.
5 F. Cardini, La deriva dell’Occidente, Laterza, Roma-Bari 2023.
6 E. Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi, Roma 2024.
7 F. Cardini, op. cit. p. 15
8 I. Wallerstein, Alla scoperta del sistema mondo, Manifestolibri, Roma 2003, pp. 283-284.
9 Ibid., pag. 285.
10 G. Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il saggiatore, Milano 2014, pp. 123-141.
11 Ibid., pp. 44-45.
12 Da allora l’antisemitismo fu una costante che caratterizzò l’Occidente. Si veda: C. Stallaert, Ni una gota de sangre impura. La España inquisitorial y la Alemania nazi cara a cara, Galaxia Gutenberg, Barcelona 2006.
13 G. Arrighi, op. cit., pp. 133-134.
14 M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze 1965.
15 E. Todd, op. cit., pp. 150-151.
16 P. Repetto, Humboldt controcorrente, “I quaderni di Altronovecento”, n. 9. Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 2018, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/i-quaderni/#
17 Multatuli, Max Havelaard, Utet, Torino 1965.
18 I. Wallerstein, op. cit., p. 183.
19 B. Davidson, Storia dell’Africa, Nuova Eri, Torino 1990, p. 198.
20 Rhodes è stato un imperialista, uomo d’affari e politico, ma anche filantropo, che ha svolto un ruolo dominante nell’Africa meridionale alla fine del XIX secolo, guidando l’annessione di vaste aree. Ha fondato l’azienda di diamanti De Beers, che fino a poco tempo fa controllava il commercio globale. Le borse di studio che permettono agli studenti stranieri di frequentare l’Università di Oxford portano ancora il suo nome. Queste borse consentono a 83 studenti provenienti da Stati Uniti, Germania, Hong Kong, Bermuda, Zimbabwe e diversi Paesi del Commonwealth – tra cui alcune nazioni dell’Africa meridionale – di frequentare ogni anno l’Università di Oxford. L’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton è probabilmente il più noto di questi studiosi. Molte istituzioni, tra cui la stessa Università di Città del Capo, hanno beneficiato della sua generosità. Sia la Rhodesia Meridionale (oggi Zimbabwe) che la Rhodesia Settentrionale (oggi Zambia) hanno preso il suo nome. Cfr. J. Parkinson, Why is Cecil Rhodes such a controversial figure? in “BBC News Magazine”, London 1 April 2015, https://www.bbc.com/news/magazine-32131829.
21 M. Ruzzenenti, Ecologia, darwinismo, eugenetica, nazismo e Occidente, “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, rivista on line promossa dalla Fondazione ‘‘Luigi Micheletti” di Brescia, n. 50, 31 dicembre 2024, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/ecologia-darwinismo-eugenetica-nazismo-e-occidente/.
22 T. Ali, Vita e malefatte di Wiston Churchill, DeriveApprodi, Roma 2024, pp. 169-174.
23 Truman Doctrine, President Harry S. Truman’s address before a joint session of Congress, march 12, 1947, https://avalon.law.yale.edu/20th_century/trudoc.asp.
24 G. F. Kennan, Memo PPS23, 28 febbraio 1948, declassificato il 17 giugno 1974, traduzione dell’autore, https://en.wikiquote.org/wiki/George_F._Kennan.
25 E. J. Hobsbawm, op. cit., p. 23.
26 Per la “primavera ecologica” si rinvia ai documenti pubblicati nei dossier della rivista “Altronovecento”, dedicati al 1970 e al 1972: M. Ruzzenenti (a cura di), Dossier 1970. Sboccia la “primavera ecologica”. Un passato che può essere prologo per un nuovo inizio, in “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, n. 43, 1 dicembre 2020, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/dossier-1970-sboccia-la-primavera-ecologica-un-passato-che-puo-essere-prologo-per-un-nuovo-inizio/; M. Ruzzenenti (a cura di) , 1972. L’anno lungo dell’ecologia, in “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, n. 46, 20 dicembre 2022, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/1972-lanno-lungo-dellecologia/; Dossier 1972, in “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, n. 47, 1 luglio 2023, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/editoriale-n47/.
27 G. Nebbia, La prima Conferenza dell’Onu sull’ambiente a Stoccolma, in “Altronovecento. Ambiente Tecnica Società”, n. 46, 20 dicembre 2022, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/la-prima-conferenza-dellonu-sullambiente-a-stoccolma/.
28 Onu, Dichiarazione sull’istituzione di un nuovo ordine economico internazionale, 1° maggio 1974,https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/dichiarazione-sullistituzione-di-un-nuovo-ordine-economico-internazionale-1974/. Nell’indifferenza generale l’Università di Venezia, nel maggio scorso, ha dedicato un importante convegno internazionale, New International Economic Order. Lessons and Legacies, 50 Years later, nella giusta convinzione che “quella del Noei resta una vicenda di enorme interesse anche e soprattutto a partire dal drammatico dis-ordine internazionale attuale. […]. Comprendere ricchezze e limiti di quanto pareva a portata di mano nel 1974 diviene quindi di particolare rilevanza”. https://unive.it/pag/14024/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=15513.
29 Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Atto finale, Helsinki, 1975, https://www.osce.org/files/f/documents/a/c/39504.pdf.
30 Sul 1973, come anno di svolta, si veda. M. Ruzzenenti, P. Zanotti (a cura di),La svolta ecologica mancata. Dalla crisi petrolifera al Golfo oggi, Jaca Book – Fondazione Luigi Micheletti, Milano 2024.
31 M. Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo, 1776-2006, Laterza, Roma-Bari 2008, cap. 10. Dettaglio che andrebbe ricordato quando ci si chiede il perché della feroce aggressione di Israele contro Gaza e dell’ossessiva campagna di denigrazione dell’Iran.
32 A. K. Bergquist, T. David, Beyond Planetary Limits! The International Chamber of Commerce, the United Nations, and the Invention of Sustainable Development, in “Business History Review”, XCVIII (2023), n. 3, pp. 505-507, traduzione in “Altronovecento. Ambiente tecnica società”, n. 49, 15 luglio 2024, https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/oltre-i-limiti-planetari-la-camera-di-commercio-internazionale-le-nazioni-unite-e-linvenzione-dello-sviluppo-sostenibile/.
33 M. Ruzzenenti, Sviluppo sostenibile: storia di una teoria controversa, in “Inchiesta”, ottobre – novembre 1999, anche in “Altronovecento. Ambiente tecnica società”, n. 1 (1999). https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/sviluppo-sostenibile-riflessioni-attorno-ad-una-teoria-controversa/?cn-reloaded=1
34 T. Snyder, Terra nera. L’Olocausto tra passato e presente, Rizzoli, Milano 2015, p. 399.
35 La portata drammatica dell’accordo, siglato il 3 luglio, emerge dalle amare considerazioni di Bruno Trentin, allora segretario della cgil, che lo spingono a meditare l’abbandono del sindacato. Cfr. B. Trentin, Diari 1988-1994, Ediesse, Roma 2017, pp. 359-360.
36 Ludwig Gumplowicz (1838-1909), polacco, fondatore della moderna sociologia, pubblica nel 1893 l’opera più importante e di vastissimo successo, La lotta delle razze (Ed. it.:AGA, Milano 2021), un manifesto dello spirito dell’Occidente e in qualche modo una profezia di quello che sarà il culmine drammatico della “guerra dei trent’anni” novecentesca: “La lotta delle razze per il dominio, per il potere, la lotta in tutte le sue forme è il principio propulsore propriamente detto, la forza motrice della storia” una lotta che “si appoggia su una legge naturale” ovvero “la grande saggezza della natura” ancorché possa apparire crudele.
37 F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992.
38 Ue, Proposta di risoluzione comune sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa, 18 settembre 2019, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2019-0097_IT.html.
39 Sul ruolo dell’Occidente nel provocare la guerra ucraina in corso, si veda la ricostruzione storica, ben documentata, con prefazione di L. Canfora: B. Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi, Roma 2023, file:///C:/Users/Utente/Downloads/Benjamin_Abelow_-_Come_l_Occidente_ha_provocato_la_guerra_in_Ucraina-2.pdf.
40 S. Latouche, op. cit.
41 Ministero dell’Istruzione e del Merito, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma 11 giugno 2025, p. 53, https://www.mim.gov.it/documents/20182/8952594/Indicazioni+nazionali+2025.pdf/593dfc49-bcdc-ffbb-747a-5c368b4bac01?version=1.0&t=1749622399405.
42 Project for New American Century, https://web.archive.org/web/20080513185419/http://www.newamericancentury.org/
44 “L’agenzia che supervisionava gran parte degli aiuti esteri degli Stati Uniti era l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, UsAid, che aveva un budget di 63 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2023”. https://www.oxfamamerica.org/explore/issues/making-foreign-aid-work/what-do-trumps-proposed-foreign-aid-cuts-mean/.
45 Z. Brzezinski, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell’era della supremazia americana, Longanesi, Milano 1998.
46 Ibid., pp. 14-15.
47 Ibid., p. 33.
48 Ibid., p. 56.
49 Ibid., p. 45.
50 Ibid., p. 49.
51 Ibidem.
52 Ibid., p. 48.
53 Ibid., p. 77.
54 Ibid., p. 127.
55 A. Orsini, Guerra dei trent’anni. Tutte le colpe Usa, carte alla mano, in “Il Fatto quotidiano”, 21 febbraio 2025.
56 C. Rovelli, E’ questo il mondo che vogliamo?, Post Facebook del 12 settembre 2024, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-carlo_rovelli__questo_il_mondo_che_vogliamo/39602_56638/#google_vignette.
57 Personalmente sono stato colpito da due pezzi pubblicati da “Altreconomia.it”, di cui in generale apprezzo il lavoro. Il primo dedicato a pubblicizzare un film-doc sulla condizione delle donne afghane finanziato dagli Usa, in particolare da Jennifer Lawrence, Bread & Roses, dell’esule afghana Sahra Mani, che nell’intervista, rispondendo ad una domanda dell’interlocutore, rimpiange esplicitamente i venti anni di occupazione militare dell’Occidente e auspica che lo stesso riprenda la guerra contro i talebani: “L. Rondi: ‘…i Talebani sono stati invitati a Doha a sedersi al tavolo con i membri deeelle Nazioni Unite. Che cosa ne pensa?’ Sahra Mani: ‘Non concepisco neanche come sia possibile che un terrorista (!) possa prendere un volo e sedersi al tavolo delle trattative. Chi sta decidendo di lasciare a un gruppo terroristico un pezzo del mondo? Qual è la motivazione politica che sta dietro a tutti questi giochi sporchi? E le donne, le donne dell’Afghanistan stanno pagando un prezzo altissimo. […] Lasciare il Paese in mano ai terroristi significa decidere sul futuro di tutti. Oggi il mio Paese paga il prezzo più alto, non possiamo escludere che domani sia il mondo intero a farlo per non aver fatto nulla’” (L. Rondi, Sahra Mani. Il sacrificio delle donne afghane nel silenzio del mondo, 12 dicembre 2024, https://altreconomia.it/sahra-mani-il-sacrificio-delle-donne-afghane-nel-silenzio-del-mondo/). Il secondo, di Beatrice Biliato, del cisda, del 26 maggio 2025, che già nel titolo, come nell’articolo, assume, esplicito, il punto di vista dell’Occidente colonialista quando si adottae acriticamente la formula falsificante “comunità internazionale” per intendere, Usa, G7 e Nato, formula che ignora del tutto e cocciutamente che da tempo vi è un’“altra” comunità internazionale, quella dei Brics, basata sul multipolarismo e sul pluriversalismo, a cui l’Afghanistan è invitato. Nell’articolo, dunque ci si lamenta che anche l’Agenzia dell’Onu, Unama. Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, prenda finalmente atto che la guerra coloniale è stata persa e che, a tal fine, abbia avanzato un nuovo format “Piano Mosaico”, o Roadmap globale per l’Afghanistan, con “l’obiettivo dichiarato di normalizzare il più presto possibile le relazioni con l’Afghanistan, per riportarlo nella comunità internazionale sotto il controllo di ‘questi’ Talebani e di ‘questo’ governo […] Nelle intenzioni l’obiettivo di questo processo dovrebbe essere ‘un Afghanistan in pace con sé stesso e con i suoi vicini, pienamente reintegrato nella comunità internazionale e in grado di rispettare gli obblighi internazionali’”. Sconcertante la conclusione dell’articolo: “Il ‘Piano Mosaico’ dichiara di puntare, per ottenere cambiamenti nella politica talebana, sulla reciproca fiducia e la dimostrazione dei vantaggi che la cooperazione può portare alla governance e al popolo afghano. Ma come può esserci collaborazione con un governo fondamentalista che ritiene che non sia sua responsabilità provvedere ai bisogni dei cittadini perché crede che il benessere e la sopravvivenza del popolo provengano direttamente da dio? Come si può avere fiducia in un regime che si preoccupa solo di ottenere con la violenza l’obbedienza a quella che pretende sia la vera religione? Il governo talebano non può essere un interlocutore credibile. Non vi è garanzia che il popolo afghano possa ottenere dai Talebani il rispetto dei suoi diritti umani, economici e sociali. Come hanno giustamente sostenuto le donne e le associazioni democratiche, ‘questo piano deve essere fermato, le nostre voci devono essere ascoltate’”. Quindi? Riprendiamo la guerra coloniale, in altre forme, per sconfiggere l’islam sunnita fondamentalista dei Talebani e imporre la nostra visione laica, democratica, fondata sulla parità tra i sessi, o, perché no, su lgbtq? (B. Biliato, A che punto è il riconoscimento “strisciante” dei Talebani da parte della comunità internazionale, 26 Maggio 2025, https://altreconomia.it/a-che-punto-e-il-riconoscimento-strisciante-dei-talebani-da-parte-della-comunita-internazionale/).
58 Z. Brzezinski, op. cit., p. 196.
59 E’ la tesi sostenuta da un grande sociologo tedesco Wolfgang Streek, Globalismo e democrazia.L’economia politica del tardo neoliberismo,Feltrinelli, Milano 2024, p. 44: “Come ogni impero esso subì il fascino di tendenze espansive, con relative perdite in termini di efficienza e legittimità, pure all’interno del suo stesso stato centrale”. Com’è noto la competitività sfrenata ha portato alla deindustrializzazione degli stessi Stati uniti e ad un loro “impoverimento” strutturale, a cui cercano di reagire con i dazi.
60 La crisi finanziaria del 2008, affrettatamente archiviata in Occidente, ha rappresentato la molla decisiva per far nascere l’anno dopo nel “resto del mondo” la realtà dei Brics, di cui si dirà più avanti, ovvero dell’alternativa all’Occidente.
61 Come già detto, esiste una Dichiarazione ufficiale dell’Onu sul Nuovo ordine economico internazionale basata su alcuni principi, che ispirano oggi l’iniziativa dei Brics: l’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati, con la non-interferenza nei loro affari interni, la loro effettiva partecipazione nella risoluzione dei problemi mondiali, e il diritto di adottare un proprio sistema economico e sociale; la piena sovranità di ogni Stato sulle sue risorse naturali e le altre attività economiche necessarie per lo sviluppo, così come la regolamentazione delle società multinazionali; una giusta ed equa relazione tra il prezzo delle materie prime e degli altri beni esportati dai paesi in via di sviluppo e i prezzi delle materie prime e degli altri beni esportati dai paesi sviluppati; un rafforzamento dell’assistenza internazionale, bilaterale e multilaterale, per promuovere l’industrializzazione nei paesi in via di sviluppo tramite, in particolare, l’approvvigionamento di sufficienti risorse finanziarie e opportunità di trasferimento di appropriate tecniche e tecnologie. Fu approvata dall’assemblea generale dell’Onu il 1° maggio 1974, purtroppo ormai fuori tempo massimo: era già all’opera Kissinger, gli Usa immediatamente la boicottarono e non se ne fece nulla.
62 C. Amery, Hitler precursore. Il XXI secolo inizia con Auschwitz?, Libreria editrice fiorentina, Firenze 2011.
63 Ibid., p. 67.
64 Ibid., pp. 144-145.
65 Ibid., pp. 146.
66 Ibid., pp. 155-156.
67 Ibid., pp. 157-160.
68 Un grande studioso di genetica, intellettualmente onesto, formato, tra l’altro, al Galton Institute di Londra, scrive parole definitive sulla natura classista della nuova eugenetica, quella che sogna un’umanità superiore priva di malattie ereditarie, dotata di un’intelligenza straordinaria: “Se desiderate applicare metriche e classifiche agli esseri umani per poter dirigere la società verso il miglioramento, tenete presente questo: nessuno tra i peggiori crimini commessi, genocidi, crimini di guerra, pulizia etnica, guerra chimica, crisi economiche, la profanazione della natura, invasioni, colonialismo, stupri e omicidi è mai stato perpetrato da persone con la sindrome di Down. Nessuna persona che soffre di acondroplasia ha mai commesso un omicidio di massa o ha sostenuto una campagna genocida. […] D’altra parte, come sempre accade con la tecnologia, si tratta di tecniche costose e disponibili solo ai ricchi, che si tratti di individui, di particolari fasce della società o dei paesi più ricchi. Ai suoi albori, l’eugenetica era una strumentalizzazione della scienza per fini politici. Oggi, non è cambiato nulla. Invece di tentare di aggrapparsi a una scienza che comprendiamo a malapena non sarebbe meglio migliorare la popolazione con meccanismi che funzionano? Ad esempio attraverso l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la parità di opportunità a dispetto dell’ambiente di provenienza o della fortuna. Cfr. A. Rutherford, Controllo. Storia e attualità dell’eugenetica, Bollati Boringhieri, Torino 2023, pp. 174-175.
69 G. Cremaschi, Liberalfascismo. Come i liberali distruggono la democrazia e ci portano in guerra, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2024.
70 C. Mattei, La guerra non è l’anomalia, ma la norma del capitale in crisi, in “Il fatto quotidiano”, 10 giungo 2024.
71 Purtroppo anche Papa Francesco ha voluto promuovere direttamente il volto nuovo delle multinazionali inclusive, il Council for Inclusive Capitalism, https://www.inclusivecapitalism.com/.
72 N. Penelope, Lavoro è partecipazione. La proposta della Cisl verso l’approvazione bipartisan, in “Il foglio”, 24 maggio 2024.
73 G. Nebbia, Abolire la parola sostenibile, in “Villaggio Globale”, n. 2, (marzo 1999), pp. 44-45.
74 Carlo Revelli: “Le democrazie occidentali sono spesso in realtà plutocrazie: il potere è dei ricchi. Paesi come l’Italia e gli Usa sono addirittura finiti in mano a miliardari” in A. Caporale,Green e benessere: l’ue guardi alla Cina. Lì spiano tutti? E noi no? Intervista a Carlo Revelli, in“Il fatto quotidiano”, 24 febbraio 2025.
75 F. Cardini, op. cit., p. 95.
76 E. Todd, op. cit. pp. 158-159
77 O. Roy, L’aplatissement du mond. La crise de la culture et l’empire des normes, Seuil, Paris 2022.
78 P.P. Poggio (a cura di), Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico, Fondazione Luigi Micheletti – Jaca Book, Brescia-Milano, vol. 1 L’età del comunismo sovietico (1900-1945), 2010; vol. 2, Il sistema e i movimenti. Europa 1945-1989, 2011; vol. 3, Il capitalismo americano e i suoi critici, 2023; vol. 4, Rivoluzione e sviluppo in America latina, 2016; vol. 6, Alle frontiere del capitale, 2018.
79 E. Todd, op. cit.
80 F. Cardini, op. cit.
81 Ibid., p. 119.
82 Secondo Alessandro Volpi, fine osservatore e esperto dei crucci finanziari degli Usa, i rimedi adottati dall’amministrazione Trump potrebbero essere fuori tempo massimo, citando lo stesso Jerome Powell, presidente della Fed, secondo il quale il debito pubblico statunitense sarebbe ormai insostenibile e il Paese, sull’orlo dell’insolvenza, non riuscirebbe più a finanziarsi emettendo nuovi dollari: A Volpi, Gli Stati Uniti stanno per saltare?, in “alltreconomia.it”, 2 luglio 2025, https://altreconomia.it/gli-stati-uniti-stanno-per-saltare/.
83 Declaração de Rio de Janeiro. Fortalecendo a Cooperação do Sul Global para uma Governança mais Inclusiva e Sustentável, XVII reunion do Brics, Rio de Janeiro, 6 de julho do 2025. (nostra traduzione), file:///C:/Users/Utente/Downloads/250706%20-%20BRICS%20-%20Declaracao%20de%20Lideres%20-%20PTBR-4.pdf.
84 O. Spengler, Il Tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, Milano, Longanesi 1957.
85 In La chute finale: Essai sur la decomposition de la sphere soviétique, Éditions Robert Laffont, Paris 1976, Todd analizzò la mortalità infantile, i tassi di suicidio, la produttività economica e altri indicatori, e concluse che la lunga stagnazione dell’ Urss sarebbe presto culminata nel collasso.
86 A. Applebaum, Autocrazie. Chi sono i dittatori che vogliono governare il mondo, Mondadori, Milano 2024.
87 La scrittrice statunitense Anne Applebaum lancia un appello per il sostegno all’Ucraina alla Fiera del Libro di Francoforte, in “euronews.com” 21 ottobre 2024, https://it.euronews.com/cultura/2024/10/21/la-scrittrice-statunitense-anne-applebaum-lancia-un-appello-per-il-sostegno-allucraina-all.
88 M. T. Meli, Difesa Ue, la maggioranza si divide. I “due voti” del Pd per restare unito, in “Corriere della Sera” 3 aprile 2025.
89 John Mearsheimer, la grande illusione. Perché la democrazia liberale non può cambiare il mondo, Luiss University Press, Roma 2019.
90 Ibidem, p. 177.
91 Ibidem, p. 196.
92 Ibidem, p. 200.
93 Ibidem, p. 202.
94 Ivi.
95 Ibidem, p. 203.
96 Ibidem, p. 26.
97 Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024 (2024/2082(INI)), https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-10-2025-0058_IT.pdf
98 E. Todd, op. cit. p. 186-197.
99 Questa lettura è maturata da un confronto con mio figlio Franco. Si veda: F. Ruzzenenti, Grande è la confusione sotto il cielo, in “La fionda”, 10 aprile 2025, https://www.lafionda.org/2025/04/10/grande-e-la-confusione-sotto-il-cielo/.
100 S.M. Walt, “Sì, l’America è il nemico dell’Europa ora”, in “Foreign Policy”, 21 febbraio 2025.
101 K. Mahbubani, “È tempo per l’Europa di fare l’impensabile”, in “Foreign Policy”, 18 febbraio 2025
102 E. Brancaccio e altri, Condizioni economiche per la pace, pubblicato su “Financial Times”, “Econopoly del Sole 24 Ore” e “Le Monde”, 17 febbraio 2023.
103 W. Streek, op. cit.
104 J.M. Keynes, La fine del laissez faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 87-100.
105 K. Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974.
106 D-R Dufour, Universalité vs Pluriversalité. Bios, logos, mythos, ethos, in “Journal du Mauss”, Paris, 10 dicembre 2014, http://www.journaldumauss.net/?Universalite-vs-pluriversalite.
107 G. Parisi, I trattati per favorire la pace. Proprio adesso è fondamentale riprendere un negoziato globale in un mondo multipolare, in “Corriere della Sera”, 1° aprile 2025.

